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IL SISTEMA DI GIUSTIZIA COSTITUZIONALE (LA SCELTA DEL MODELLO COSTITUZIONALE: IL CASO ITALIANO): YULHMA V. BALDERAS ORTIZ.

IL SISTEMA DI GIUSTIZIA COSTITUZIONALE (LA SCELTA DEL MODELLO COSTITUZIONALE: IL CASO ITALIANO)

di Avv. Yulhma V. Balderas Ortiz
Dottore di ricerca in Diritto pubblico, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”

In Italia, la creazione della Corte costituzionale costituisce una novità assoluta introdotta dalla Costituzione repubblicana, infatti, da tempo gli studiosi avevano avvertito l’esigenza di forme di controllo sulle leggi, come si evince dalle proposte di Mario Pagano[1] nella Costituzione napoletana del 1799, di Giandomenico Romagnosi, con cui si configurava il Senato come corpo conservatore nel 1815, ed anche con Antonio Rosmini nei suoi progetti di Costituzione nel 1848.

Ciò nonostante, lo Statuto Albertino nel 1848[2], – che diverrà la Costituzione del Regno d’Italia – non contemplava un Tribunale costituzionale né un controllo di costituzionalità. Ad ogni modo, un controllo giurisdizionale sulla conformità dei precetti costituzionali con gli atti degli organi supremi non era compatibile con il modello di Costituzione allora vigente. Invero, lo Statuto Albertino conteneva formule normative abbastanza povere, sintetiche ed elastiche, giacché poneva un sistema contrassegnato da uno spiccato accentramento politico, senza un’autonomia costituzionale degli enti territoriali ed era una Costituzione flessibile, cioè modificabile anche dalle leggi ordinarie, quindi, non era necessario, controllare la conformità del contenuto delle leggi rispetto al contenuto della Costituzione.

In quest’ordine di idee, un problema di costituzionalità aveva ragione di porsi, solo rispetto alla regolarità del procedimento di formazione degli atti legislativi, per cui gli atti del Parlamento potevano anche modificare la Costituzione o non rispettarla, bastava dunque, osservare tali regole di formazione. Siffatta competenza era attribuita alle comuni autorità giudiziarie, le quali, prima di provvedere alla risoluzione delle controversie concrete, dovevano accertarsi che gli atti normativi da applicare si fossero costituiti in modo valido.

Come si osserva nello Statuto Albertino[3] il controllo della legittimità delle leggi, è stato importante, ma solo riguardo ai vizi formali degli atti normativi, ovvero, esclusivamente nel caso in cui gli atti fossero emessi in violazione delle norme sulla produzione. Si pensi, ad esempio, alle due decisioni della Corte di Cassazione[4] riguardanti la illegittimità degli atti legislativi, una del 1886, corrispondente ad una legge approvata con un testo difforme dalla Camera e dal Senato ― Corte di Cassazione romana, Sezione Unite, del 28 giugno del 1889 ―[5], ed anche, ai decreti-legge che non sono stati tempestivamente presentati al Parlamento Italiano per la sua sanatoria ― Cassazione, Sezione Unite, Materia Civile, del 16 novembre del 1922 ―.

Del resto, l’esigenza di un organo di garanzia costituzionale era comunque emersa nel dibattito politico degli anni della crisi dello Stato liberale, subito prima dell’instaurazione del regime fascista, infatti, a metà degli anni 20 la crisi istituzionale si manifestò, tra l’altro, in un deciso abuso del decreto-legge da parte del Governo. L’esecutivo tentava di indebolire la sovranità del Parlamento, anche mediante un insistente ricorso a decreti con forza di legge che di “urgente” avevano solo il nome[6].

Per tali motivi, la necessità di un controllo non solo politico ma anche giurisdizionale, su tali atti legislativi, emerse con fermezza in una parte del mondo giudiziario e politico. Infatti, fu il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione Appiani che, nel discorso di inaugurazione dell’anno giudiziario 1925, propose di attribuire ad una suprema magistratura la competenza di annullare gli atti legislativi incostituzionali, similmente al potere attribuito alla Corte Suprema degli Stati Uniti. Questa idea, che probabilmente sarebbe servita a difendere ulteriormente la democrazia parlamentare, fu fatta propria anche dai leader politici, come il socialista Filippo Turati e il liberale Giovanni Amendola. Tuttavia, venne ben presto accantonata dal regime fascista, che le dedicò solo qualche battuta sarcastica, accusandola di scorrettezza verso l’azione garantistica del re, supremo organo costituzionale dell’ordinamento allora vigente. Infine, un cambio importante si ebbe in eseguito nell’epoca statutaria con l’introduzione della Legge n. 2693 del 1928, sul Grande Consiglio del Fascismo[7], il quale prevedeva all’articolo 12, una parziale rigidità sulla produzione legislativa, per cui per approvare alcune leggi con carattere costituzionale, come ad esempio, la successione al Trono, le prerogative del Capo di Governo o i poteri normativi dell’Esecutivo era obbligatoria l’opinione del Grande Consiglio del Fascismo. Nella giurisprudenza italiana si hanno alcuni casi di disapplicazione delle leggi ordinarie in violazione di tali disposizioni, come ad esempio quelle del Consiglio dello Stato, Sezione IV, del 12 dicembre 1939[8].

D’altra parte, è da ricordare l’antecedente che si ebbe con un organo competente per la verifica di costituzionalità delle leggi, come quello dell’Alta Corte per la Regione Sicilia[9], costituita con il Regolamento del Decreto Legislativo n. 455/1946, che aveva competenza per valutare la concordanza dello Statuto delle leggi regionali siciliane e quello delle leggi e regolamenti statali. Inoltre, aveva la possibilità di giudicare sui reati del Presidente e degli Assessori Regionali, a seguito degli atti compiuti nell’esercizio delle loro funzioni. Inoltre è da notare, come detto organo avesse cessato di funzionare per mancanza di rinnovo dei loro membri, di conseguenza nel 1956, fu definitivamente eliminato dai successivi interventi della Corte costituzionale. Al riguardo, quest’ultima rivendicò a se stessa la competenza dell’Alta Corte ed escluse la costituzionalità dello Statuto Siciliano, nella parte in cui prevedeva un organo speciale di giurisdizione costituzionale[10].

La questione della giustizia costituzionale, riemerse puntualmente negli anni del periodo transitorio, quando, tra la caduta del regime e la formazione della nuova Costituzione repubblicana, fervevano i preparativi per il nuovo ordinamento. A livello progettuale, nel 1945 il ministero per la Costituente affidò a un’apposita commissione il compito di studiare le forme di organizzazione dello Stato. In tale sede, nei primi mesi del 1946, si discusse vivacemente di giustizia costituzionale: l’idea iniziale fu una forma di sindacato diffuso, la proposta finale, fu quella di costituire un supremo giudice costituzionale, attivabile mediante il ricorso diretto dei cittadini.

Perciò l’idea di istituire un sindacato di costituzionalità delle leggi fu osteggiata in Assemblea costituente, facendo leva sulla valorizzazione della sovranità popolare, sul primato della politica e sul principio di supremazia parlamentare. A opporsi furono soprattutto gli esponenti del precedente regime liberale – il maggiore oppositore fu, probabilmente, Francesco Saverio Nitti – propensi al più – ad attribuire funzioni di giudice costituzionale alla Corte di Cassazione. Forti furono anche le resistenze degli schieramenti di sinistra, timorosi che l’istituzione della Corte avrebbe finito con lo svuotare i principi del parlamentarismo democratico. Rilevanti sono le posizioni di Nenni e soprattutto di Togliatti, il quale, nella seduta dell’11 marzo 1947, censurava “quella bizzarria della Corte costituzionale, organo che non si sa cosa, sia e grazie all’istituzione della quale illustri cittadini verrebbero ad essere collocati al di sopra di tutte le assemblee e di tutto il sistema del Parlamento e della democrazia, per esserne giudici”[11].

Molti altri costituenti, invece, si espressero a favore della Corte costituzionale, richiamandosi soprattutto alle esigenze di garantire giurisdizionalmente il principio di rigidità costituzionale e di difendere i diritti dei cittadini dai possibili abusi del potere legislativo. Rilevanti sono le parole di Giorgio La Pira, nella seduta del 28 novembre 1947, che vedeva nella Corte una “esigenza intrinseca della Costituzione, di natura giuridica e politica. Senza quell’organo, possederemmo una casa senza tetto, un edificio senza volta”. In sede di elaborazione del progetto di Costituzione, da parte della denominata Commissione dei 75, si confrontarono il progetto di Piero Calamandrei, teso ad un controllo misto con elementi diffusi ed accentrati, quelli di Giovanni Leone e di Gennaro Patricolo, favorevoli all’istituzione di un’apposita Corte di giustizia costituzionale, e quello di Luigi Einaudi, tendente ad un sistema diffuso di tipo nordamericano. Scelto il sistema accentrato, soprattutto in ragione di una certa diffidenza verso il controllo esercitabile dai giudici comuni, furono approvati e proposti all’Assemblea una serie di articoli dal 126 e seguenti del progetto, abbastanza vicini a quello che poi diverrà il testo della Costituzione, anche se la nomina dei giudici costituzionali, – di cui non si stabiliva il numero – era integralmente riservata al Parlamento, con la possibilità di scegliere anche semplici cittadini.

Come si osserva nell’Assemblea costituente italiana, la prima scelta importante consisteva nell’elezione tra un sistema accentrato[12] e uno diffuso[13], si adottò il primo, nonostante l’opposizione delle forze di sinistra sostenitrice di un’assolutizzazione del principio di legittimazione popolare del potere e della supremazia parlamentare. Al riguardo, alcuni autorevoli esponenti del precedente regime liberale[14] preferivano un controllo diffuso o una riforma degli organi giurisdizionali esistenti Corte di Cassazione in primis[15].

Nonostante questo, la scelta per il sistema accentrato[16] non comportò un’integrale adesione all’originario modello austriaco, il quale si era ampiamente rinnovato fino all’introduzione di un sistema molto più articolato. La scelta dell’Assemblea costituente fu per l’introduzione di un giudizio di legittimità costituzionale di tipo accentrato[17], affidato ad un organo chiamato Corte costituzionale, i modi di accesso, che sono stati scelti, furono quelli di entrambi i modi conosciuti: in via principale o d’azione[18], espressamente previsto nella Costituzione italiana e in via incidentale istaurata da un giudice nel corso di un giudizio[19], prevista dalla legge costituzionale n. 1/1948[20], approvata nel regime di proroga della citata Assemblea Costituente[21].

La prima modalità consiste nell’accesso diretto alla Corte, che è riconosciuto agli enti territoriali titolari di potestà legislativa Stato e Regioni[22]. È da rilevare, che tale accesso diretto, per quanto riguarda i cittadini nell’ipotesi di violazione dei propri diritti, non è stato ancora accolto in Italia[23],come succede con il ricorso di amparo messicano, spagnolo[24], con la Verfassunsbeschwerde svizzera[25], austriaco[26] e tedesco[27] o con il mandato de seguranca brasiliano[28]. Che pero, a sua volta vi sia una forma indiretta di accesso alla Corte costituzionale italiana, con il procedimento in via incidentale che stabilisce il – filtro – preventivo di un organo giudiziario nell’esercizio delle proprie funzioni giurisdizionali. Sebbene esista, il necessario presupposto di un concreto processo, dal quale prende orientamento l’esame della Corte costituzionale italiana, tuttora, il giudizio costituzionale conserva anche in tale ipotesi un prevalente carattere di genericità[29].

L’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, il 1° gennaio del 1948, non comportò l’immediato funzionamento della Corte costituzionale[30], infatti, essa non poteva iniziare a operare, giacché mancavano nella Carta fondamentale un complesso di norme necessarie per il funzionamento del nuovo organo. I tempi per approvarle non furono brevi, in ragione dei contrasti emersi nell’Assemblea Costituente sull’istituzione e su come dovesse funzionare il sistema di giustizia costituzionale, inoltre per i dubbi irrisolti riguardo alla definizione delle vie di accesso alla Corte e alle modalità della sua composizione, per cui si dovettero attendere ben 8 anni.

Finalmente, il 23 aprile del 1956[31], la Corte costituzionale celebrava la sua udienza inaugurale[32], dando così inizio alla storia della giustizia costituzionale in Italia, storia che in più di cinquanta anni[33], si è intrecciata con quella della società italiana, accompagnandone la crescita e l’evoluzione e assicurando il rispetto dei principi di libertà, dignità e uguaglianza in cui l’Assemblea Costituente della Repubblica Italiana si ispirò, ed anche in quei valori e principi ai quali la Corte costituzionale italiana, ha cercato di attenersi fedelmente, consapevole della delicatezza del suo ruolo[34] e rispettosa delle prerogative degli altri organi costituzionali, innanzitutto di quelli a cui è demandato, sulla base del principio di rappresentatività democratica, il compito di legiferare e governare.

Si possono individuare quattro diverse fasi storiche, le tappe dell’attività della Corte costituzionale. La prima fase copre un arco di circa quindici anni[35], dalla fine degli anni’50 all’inizio degli anni’70, ed è la fase in cui si consolida il ruolo della Corte. L’obiettivo fondamentale della giustizia costituzionale è, in questo periodo, quello della auto legittimazione, cioè della ricerca da parte della Corte dei referenti da cui ricevere sostegno per la propria azione. Questa è la fase della Corte “promotrice di riforme”[36], in collegamento diretto con le domande del corpo sociale. In questo periodo la Corte punta decisamente verso l’ampliamento delle proprie competenze e l’arricchimento dei propri strumenti. La Corte, a mano a mano che rafforza la propria legittimazione, articola maggiormente i propri strumenti di intervento, che in Costituzione sono abbastanza rigidi e limitati. È questa la fase del grande impianto, che si realizza attraverso vari passaggi[37]. Il punto di partenza si trova nella sentenza n. 1[38] del 1956[39], che amplia la competenza della Corte alle leggi anteriori[40] alla Costituzione e supera la distinzione tra norme programmatiche e norme precettive.

Seguono, poi, l’affermazione del controllo di costituzionalità sugli interna corporis del Parlamento[41], l’ampliamento della sfera dei soggetti in grado di sollevare questioni dinanzi alla Corte; il riconoscimento della possibilità che la Corte sollevi questioni davanti a se stessa[42]; l’individuazione della categoria dei principi supremi, cui si riconosce una valenza supercostituzionale e che possono offrire un parametro di giudizio anche sulle leggi costituzionali[43]. Fino ad arrivare all’arricchimento dello strumentario connesso al processo costituzionale, che si realizza attraverso la diversa tipologia delle sentenze interpretative: si comincia con le interpretative di rigetto, si passa alle interpretative di accoglimento, si arriva alle sentenze manipolative, sostitutive, additive e così via[44].

Una seconda fase di sviluppo può essere individuata nel secondo quindicennio, che porta fino oltre la metà degli anni’80[45]. Durante questo periodo[46] fu completato lo svecchiamento della legislazione fascista, per cui la Corte si trovava a dover giocare nel vivo delle contese politiche. Le leggi che sono portate in questa fase all’esame della Corte, sono sempre meno leggi anteriori al 1946, sempre più sono leggi dell’età repubblicana, talvolta approvate dallo stesso Parlamento che è in vita nel momento in cui la Corte pronuncia la sua decisione. Questa situazione porta la Corte verso un nuovo ruolo che è quello di mediazione nei conflitti sociali e politici. La Corte è sempre più costretta ad entrare nel vivo del gioco politico e a scegliere tra i diversi valori in conflitto. Questo ruolo di mediazione nei conflitti diventa particolarmente evidente quando nel 1972, la Corte inizia a esercitare la sua competenza in tema di ammissibilità dei referendum abrogativi.

In questa seconda fase il comportamento della Corte appare ispirarsi a una linea fondamentale, cioè trovare punti di equilibrio sia nei rapporti con il potere giudiziario che in quelli con il potere politico. Punti di equilibrio che non sono necessariamente stabili, ma possono variare secondo le contingenze istituzionali.

Nei confronti del potere giudiziario la ricerca dei punti di equilibrio – diminuito il valore delle sentenze interpretative di rigetto, per il rifiuto della Cassazione ad accettare tali sentenze come vincolanti – tende a svilupparsi attraverso due vicende, che rappresentano un arretramento della Corte rispetto a talune sue posizioni iniziali, ma che si presentano anche molto ragionevoli dal punto di vista del rispetto della sfera giurisdizionale. Si tratta delle vicende che hanno condotto, da un lato, ad adottare un’interpretazione molto larga del concetto di “rilevanza” – per cui la Corte tende sempre più a evitare un riesame approfondito della rilevanza e ad accettare la questione così com’è posta dal giudice a quo –; dall’altro, a valorizzare una nozione di “diritto vivente”[47] riferita all’interpretazione giurisdizionale ed in particolare alla giurisprudenza della Cassazione che è assunta come un dato oggettivo che la Corte può condividere o no, ma che rappresenta in ogni caso la premessa necessaria per valutare la costituzionalità della legge.

Per quanto riguarda, invece, i punti di equilibrio con il potere legislativo – dopo il declino della tecnica inconcludente dei “moniti” e degli “inviti” al legislatore – la Corte si mette alla ricerca di nuovi strumenti dotati di maggiore forza cogente sentenze additive, creative, sostitutive, ecc., ma alla fine si scontra con una forte resistenza del Parlamento – si ricordi, ad esempio, la reazione parlamentare alla sentenza che estendeva il trattamento dei dirigenti ai professori universitari[48]. Anche qui la Corte finisce per ripiegare su linee più riduttive: in particolare, su una limitazione dell’uso del parametro della ragionevolezza della legge e su una maggiore cautela nell’impiego di pronunce additive, che non vengono più adottate quando l’illegittimità della norma che dovrebbe condurre ad una pronuncia di questo tipo non sia tale da produrre una soluzione unica ed obbligata. Questa linea si è affermata ed è una linea incentrata sul massimo rispetto del potere discrezionale del legislatore[49].

D’altra parte, la Corte può ritenere irragionevole una legge, ma le questioni che potrebbero risolversi con una pronuncia additiva sono dichiarate inammissibili quando non esiste una, ma tante soluzioni possibili. Per questo la pronuncia additiva è limitata alle sole ipotesi in cui, per rispettare l’eguaglianza, esiste una sola strada. Su questo piano va anche segnalata quella giurisprudenza che ha introdotto la tecnica cosiddetta dell’ultimo anello, cioè del monito al legislatore collegato a una dichiarazione di legittimità precaria della legge, ovvero, di illegittimità differita[50]. La Corte non fa cadere la norma, ma avverte che ad una prossima occasione, se non sarà modificata, la norma cadrà.

La giustificazione formale di tale tecnica può essere individuata sul piano dell’illegittimità sopravvenuta, infatti, ci sono norme che non sono illegittime nel momento in cui nascono, ma lo diventano nel tempo, alla luce dell’evoluzione del sistema. La Corte suona un campanello di allarme per il legislatore dicendo che sta per scadere il tempo della legittimità di una disciplina riconosciuta sostanzialmente transitoria. Lo strumento in concreto adottato è quello del denominato monito rinforzato o a termine, che la Corte ha usato con sempre maggior frequenza e che qualche effetto sembra aver prodotto nei comportamenti del legislatore, ad esempio, in materia di locazioni, nei processi tributari, e più di recente, nella disciplina del settore radiotelevisivo. Ma si tratta di una tecnica che va incontro a molte obiezioni – anche per i patteggiamenti indebiti cui può dar luogo – e che va comunque usata con molta cautela – per le situazioni di impasse e per i conflitti che può determinare tra sfera politica e giustizia costituzionale

A partire dal 1987, si avvia una terza fase, che porta fin oltre la metà degli anni’90[51], e che si può definire dell’efficienza operativa. Invero, c’è stata una svolta nel funzionamento dell’organo sotto l’insegna dell’efficienza operativa, tale cambiamento importante è stato determinato all’interno della Corte dalla convinzione che un organo di giustizia costituzionale che non decide in tempi rapidi è un organo inutile. Si possono ammettere ritardi negli altri settori della giustizia, anche se le conseguenze sono gravi, ma nella giustizia costituzionale il ritardo nella decisione conduce più che ad alterare, ad annullare la stessa funzione assegnata a tale sistema di giustizia. Perciò, il tempo della pronuncia è uno degli elementi più rilevanti della funzione propria della giustizia costituzionale.

Questa fase, è stata caratterizzata da una forte mobilitazione organizzativa, che nell’arco di alcuni anni condusse la Corte ad eliminare tutto l’arretrato pendente, rappresentato da oltre 6.000 cause, alcune risalenti ad oltre un decennio. Alla fine del 1988 le pronunce venivano adottate a distanza di circa un anno dalla nascita delle questioni; alla fine del 1989 il tempo di decisione si era ridotto a sei mesi; attualmente la Corte è in grado di decidere alcune questioni in un tempo ancora più ridotto. Nel caso di un decreto legge la Corte è riuscita a decidere nel 1988, ancor prima del termine della sua conversione[52]. Questa mobilizzazione imponeva alcune scelte concernenti l’organizzazione del lavoro e in primo luogo la riforma del regolamento interno della Corte, che consentiva di portare in camera di consiglio non solo le cause dove non ci sono parti costituite e quelle manifestamente infondate, ma anche quelle suscettibili di concludersi con una pronuncia di manifesta inammissibilità, quand’anche si tratti di ricorsi in via principale o di conflitti. Anche questo ampliamento nell’impiego della camera di consiglio favoriva molto lo smaltimento del lavoro[53]. Altra riforma da citare è quella concernente la sottoscrizione delle sentenze, infatti, non si raccoglievano più come in passato, le firme di tutti i giudici, ma la sentenza veniva sottoscritta soltanto dal redattore, che era solitamente il relatore e dal presidente.

Per siffatti motivi, in questa fase, i cittadini italiani avvertivano nella rapidità della giustizia costituzionale una maggiore garanzia e un esempio che poteva influire positivamente su tutto il sistema giudiziario. Ma tutto questo, non evitò che in tale fase si abbia determinato anche talune preoccupazioni sia nel mondo scientifico sia in quello politico.

Il mondo scientifico manifestava il proprio plauso per l’eliminazione dell’arretrato, ma anche avanzava alcuni interrogativi sul metodo impiegato al fine di raggiungere tale scopo. Taluni criticavano le riforme ritenute rischiose sia sul piano della collegialità sia della ponderatezza dei giudizi. Indubbiamente, adottare in un solo anno 1.165 pronunce, com’è accaduto nel 1988, era un’impresa che comportava dei rischi e che imponeva talune semplificazioni, specialmente sul piano dell’impiego delle ordinanze e della motivazione delle sentenze[54]. Ma si trattava di rischi che, rispetto al risultato, valeva certamente la pena di correre. Quello che va rilevato è che, in questa fase, non c’è mai stata una riduzione della collegialità. Infatti, con l’impiego più esteso della camera di consiglio si favoriva la rapidità delle decisioni, specialmente riguardo alle questioni già coperte da precedenti, ma sulle questioni nuove e importanti la collegialità sempre funzionava in forme molto accentuate.

Le preoccupazioni emerse nel mondo politico, invece, investivano un altro aspetto: quello degli effetti nel sistema di pronunce adottate entro margini di tempo molto ristretti. L’estrema rapidità delle decisioni della Corte esaltava la valenza politica del suo ruolo, ma aumentava anche i rischi di conflitti con il Parlamento e il Governo, perché la Corte poteva essere attratta dalla tentazione di operare come soggetto attivo del processo politico.

Si arriva così agli ultimi anni’90, dove si intravede l’avvio di una quarta fase, non ancora conclusa e i cui effetti istituzionali sono ancora da definire, infatti, attraverso l’efficienza operativa, oggi la Corte ha aumentato il peso politico del suo ruolo, ma anche avvertito l’esigenza di una maggiore cautela nell’uso degli strumenti in grado di incidere sul potere discrezionale del legislatore. Questa esigenza di compensare l’aumento di politicità con un maggior controllo nell’impiego degli strumenti processuali ha portato a sviluppare un ruolo che la Corte finora aveva lasciato in ombra, ma che esprime una delle funzioni naturali della giustizia costituzionale. Il fatto è che oggi la Corte opera in un quadro di valori che è molto diverso da quello che esisteva nella sua fase di impianto. A differenza che nel passato, la struttura sociale dentro, cui si muove la Corte è un tessuto che resta sì frammentato, ma che ha anche raggiunto una sufficiente coesione sostanziale su alcune premesse, infatti, sul piano dei valori che connotano l’identità di una comunità oggi, la coesione è molto superiore rispetto a quella degli anni in cui nacque la Costituzione e iniziò a operare la Corte.

Pertanto la Corte oggi si trova ad agire in una situazione che potrebbe anche favorire l’assunzione di quel ruolo di custode dei valori fondamentali che taluni tendono ad assegnarle. Un ruolo, connaturato a ogni sistema di giustizia costituzionale, ma cui la Corte italiana approda solo adesso, dopo il lungo percorso descritto. Solo di recente, infatti, si sono consolidati nella struttura sociale valori comuni che la Corte è in grado di interpretare in un rapporto diretto con il corpo sociale. Questo nuovo ruolo di custode di valori si viene dunque a intrecciare con quello che la Corte ha invece sempre sviluppato fin dall’origine, quando ha operato come strumento di canalizzazione di interessi che non riuscivano a trovare la loro mediazione attraverso il sistema dei partiti.

Altro aspetto importante da citare, è quello concernente alle giurisdizioni sovranazionali di tutela dei diritti dell’uomo, in questa fase la Corte costituzionale italiana, ha continuato ad affermare il rilievo orientativo che le convenzioni sovranazionali dei diritti umani dispiegano per l’interpretazione del sistema costituzionale italiano e talvolta ha anche fatto riferimento alla giurisprudenza della Corte europea di tutela dei diritti dell’uomo, ad esempio, in tema di diritto alla riservatezza[55]; in tema di tutela dei minori nel processo e nel sistema penale[56]; in tema di garanzie processuali generali[57]; in tema di servizio militare[58]; in tema di adozione[59]. Si potrebbe poi ricordare la vasta giurisprudenza costituzionale in tema di giusto processo, chiaramente influenzata dalla Convenzione europea, pur se radicata nelle garanzie della Costituzione italiana[60] e nella medesima tradizione di pensiero giuridico italiano[61].

Infine, è da rilevare che in questo periodo esiste un problema che riguarda l’intreccio tra giurisprudenza costituzionale e giurisprudenza comunitaria[62]. Il diritto comunitario sta dilagando in tutti i settori e la Corte ha cercato, in più occasioni, di individuare alcuni punti fermi nei rapporti tra Costituzione e diritto comunitario. Il problema è che, al di là di ogni possibile teorizzazione, esiste una situazione di conflitto potenziale legata al fatto che Corte costituzionale e Corte di giustizia[63]delle Comunità europee si trovano sempre più a pronunciarsi sulle stesse materie o su oggetti connessi. La conseguenza è che sempre più spesso, il diritto comunitario viene a incidere sul parametro costituzionale, per questo motivo, la normativa comunitaria diviene così elemento integrativo del parametro costituzionale e la Corte costituzionale finisce per assumere un ruolo di supporto anche nei confronti di tale normativa.

NOTE:

[1]Sul particolare, v. A. GALANTE GARRONE, Profilo della Costituzione, cit., pp. 169 ss.

[2]Per quanto riguarda lo Statuto Albertino, v. A. GALANTE GARRONE, Profilo della Costituzione, cit., pp. 13 ss; G. OSPITALI, Elementi di Diritto pubblico, Seconda Edizione, CEDAM, Padova, 1962, pp. 65 ss; P. POMBENI, Potere Costituente e Riforme Costituzionali, cit., pp. 87 ss; E. MALFATTI, S. PANIZZA, R. ROMBOLI, Giustizia Costituzionale, Giappichelli, Torino, 2003, pp. 30 ss; S. CASSESE, S. BATTINI, R. PEREZ, C. FRANCHINI, G. VESPERINI, Manuale di Diritto Pubblico, Terza Edizione, Giuffrè Milano, 2005, pp. 103 ss; V. ONIDA, M.PEDRAZZA GORLERO, Compendio di Diritto Costituzionale, Giuffrè, Milano 2009, pp. 53 ss.

[3]V. P. BARILE, E. CHELI, S. GRASSI, Fonti per lo Studio delle Istituzioni di Diritto Pubblico, (CEDAM), Padova, 1996, pp. 11 ss; A. CERRI, Corso di Giustizia Costituzionale, cit., pp. 32 ss.

[4]V. F.S. MARINI, Appunti di Giustizia Costituzionale, cit., pp. 17 ss.

[5]V. i passaggi salienti della pronuncia della Cassazione Romana, Sezione Unite, del 28 giugno 1889, in E. MALFATTI, S. PANIZZA, R. ROMBOLI, Giustizia Costituzionale, cit., pp. 31 ss.

[6]Cfr. A. CELOTTO, La Corte costituzionale, cit., pp. 28 ss.

[7]Su questo punto, v. P. POMBENI, Potere Costituente e Riforme Costituzionali, cit., pp. 290 ss; E. CHELI, Costituzione e sviluppo delle istituzioni in Italia, Il Mulino, Bologna, 1978, pp. 15 ss; L. PICCARDI, Studi vari di diritto pubblico, Giuffrè, Città di Castello, 1968, pp. 270 ss; V. ONIDA, M.PEDRAZZA GORLERO, Compendio di Diritto Costituzionale, Giuffrè, Milano 2009, pp. 7 ss.

[8]V. E. MALFATTI, S. PANIZZA, R. ROMBOLI, Giustizia Costituzionale, cit., pp. 33 ss; N. TRANFAGLIA, Per una storia politica della Corte costituzionale, en Dallo Stato liberale al regime fascista, Feltrinelli, Milano, 1973, pp. 185 ss; S. RODOTÀ, La svolta –politica- della Corte costituzionale, in Politica del Diritto, 1970, pp. 37 ss; L. PALADIN, Saggi di storia costituzionale, a cura di S. BARTOLE, Il Mulino, Bologna 2008, pp. 35 ss; FERRACCIU, La figura costituzionale del Gran Consiglio, in Riv. Dir. Pubbl., 1929, I, p. 214.

[9]Riguardo all’Alta Corte per la Regione Sicilia v. F. BONINI, Storia della Corte Costituzionale, cit., pp. 87 ss; A. CELOTTO, La Corte costituzionale, cit., pp. 45 ss; A. RUGGERI, A. SPADARO, Lineamenti di Giustizia Costituzionale, cit., pp. 28 ss.

[10]Su questo argomento v. F.S. MARINI, G. GUZZETTA, Diritto Pubblico Italiano ed Europeo, cit., pp. 497 ss; v. inoltre, i passaggi salienti delle sentenze nn. 38/1957, 6/1970 e 314/2003, in www.cortecostituzionale.it

[11]Cfr. A. CELOTTO, La Corte costituzionale, cit., pp. 29 ss; F. CUOCOLO, Istituzioni di Diritto pubblico, cit., p. 877 ss.

[12]Al riguardo v. F. CUOCOLO, Istituzioni di Diritto pubblico, Dodicesima Edizione, Giuffrè, Milano, 2003, pp. 875 ss.

[13]V. su questo aspetto E. CHELI, Il giudice delle leggi. La Corte costituzionale nella dinamica dei poteri: una nuova edizione aggiornata, cit., pp. 29 ss; E. MALFATTI, S. PANIZZA, R. ROMBOLI, Giustizia Costituzionale, cit., pp. 35 ss; G. D’ORAZIO, La genesi della Corte costituzionale, Editoriale Comunità, Milano, 1981; C. MEZZANOTTE, Il giudizio sulle leggi. I. Le ideologie del Costituente, Giuffrè, Milano, 1979; F. CUOCOLO, Istituzioni di Diritto pubblico, cit., p. 875 ss; F. MODUGNO, La Corte Costituzionale oggi, in G. LOMBARDI, Costituzione e giustizia costituzionale nel diritto comparato, cit., pp. 19 ss; V. ONIDA, M.PEDRAZZA GORLERO, Compendio di Diritto Costituzionale, cit., pp. 343 ss.

[14]Cfr. A. RUGGERI, A. SPADARO, Lineamenti di Giustizia Costituzionale, cit., pp. 29 ss.

[15]Su questi aspetti v. F.S. MARINI, G. GUZZETTA, Diritto Pubblico Italiano ed Europeo, cit., pp. 497 ss.

[16]I motivi della preferenza accordata in Italia ad un sistema di tipo accentrato sono molteplici e di natura sia tecnico-giuridica che politica. Tra i primi va ricordata l’inesistenza in Italia del principio dello stare decisisi: le sentenze della Corte di cassazione, pur avendo una notevole influenza sostanziale nei confronti degli altri giudici, non sono tuttavia formalmente vincolanti nei loro confronti. Viene così a mancare un presupposto essenziale, come si è visto in precedenza, per il corretto funzionamento di un sistema di controllo diffuso, tale cioè da evitare per quanto possibile incertezze e sperequazioni nell’applicazione giudiziale del diritto. Tra i secondi va segnalata la preoccupazione di non squilibrare la posizione reciproca dei poteri dello Stato, attribuendo in via esclusiva al potere giurisdizionale la funzione di bloccare l’operatività delle leggi, l’approvazione delle quali, così come la loro abrogazione, spetta al Parlamento; in altre parole, la preoccupazione di non contrapporre al potere positivo del Parlamento un potere negativo affidato alla magistratura, con il rischio di un’eccessiva crescita dell’influenza, anche politica, di quest’ultima, rischio in parte verificatosi in passato negli Stati Uniti quando si parlò di “governo dei giudici”. Tuttavia, la preoccupazione suddetta non sarebbe stata eliminata dalla semplice rinuncia ad un controllo di costituzionalità di tipo diffuso e dall’istituzione di un controllo di tipo accentrato attribuito ad un organo formalmente non appartenente alla magistratura, qualora i componenti di tale organo fossero stati soltanto magistrati. Anzi, se così fosse, il peso della magistratura, non tanto in quanto potere in sé e per sé ma in quanto potere al quale concretamente apparterrebbero i membri dell’organo speciale competente a sindacare la legittimità costituzionale delle leggi, sarebbe ancora maggiore, dal momento che in un sistema accentrato la conseguenza dell’illegittimità della legge non è la sua disapplicazione ma la ben più grave misura del suo annullamento. Inoltre, poiché tra le competenze della Corte costituzionale italiana, oltre al giudizio di legittimità costituzionale, vi è anche la funzione di decidere sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato, certamente pericoloso, non soltanto in nome del principio di terzietà del giudice (nemo iudex in causa propria), sarebbe stato affidare l’esercizio di tale funzione ad un organo composto da soggetti appartenenti ad un solo potere dello Stato. Si può ragionevolmente affermare che in Italia, essendosi partiti dalla premessa dell’introduzione di un controllo di costituzionalità delle leggi di tipo accentrato, il meccanismo di scelta dei membri della Corte costituzionale sia stato pensato e definito avendo ben presente l’esigenza di evitare i suaccennati inconvenienti: diversificando da un lato, sotto l’aspetto passivo, la platea dei soggetti nominabili o eleggibili alla carica di giudice costituzionale e dall’altro, sotto l’aspetto attivo, la gamma dei soggetti competenti a nominarli o ad eleggerli. Cfr. T. GROPPI, Hacia una justicia constitucional “dúctil”?,Tendencias recientes de las relaciones entre Corte constitucional y jueces comunes en la experiencia italiana, in Derecho Procesal Constitucional. Colegio de Secretarios de la S.C.J.N., A.C., cit., pp. 344 ss.

[17]L’introduzione in Italia di un giudizio di legittimità costituzionale delle leggi di tipo accentrato, riservato ad un organo specifico chiamato Corte costituzionale, ha subito tuttavia negli ultimi anni un’importante eccezione in riferimento ad alcune fonti del diritto comunitario. Infatti, la verifica della legittimità delle leggi italiane nei confronti delle fonti suddette non spetta più alla Corte costituzionale, diversamente da quanto accaduto in un primo tempo, ma ad ogni giudice che si trovi a dover decidere una controversia relativa ad una fattispecie disciplinata da una legge e da un regolamento comunitario tra loro contrastanti: in tal caso il giudice dovrà disapplicare la legge e risolvere la controversia applicando la norma comunitaria. L’ipotesi così sinteticamente descritta rappresenta un evidente caso di controllo di legittimità di tipo diffuso. Su questo argomento v. M. S. CICCONETTI, Lezioni di Giustizia Costituzionale, cit., pp. 14 ss. V. ONIDA, M.PEDRAZZA GORLERO, Compendio di Diritto Costituzionale, cit., pp. 344 ss.

[18]Riguardo al modo di accesso alla giurisdizione costituzionale v. E. CHELI, Il giudice delle leggi. La Corte costituzionale nella dinamica dei poteri: una nuova edizione aggiornata, cit., pp. 30 ss.

[19]Cfr. F.S. MARINI, G. GUZZETTA, Diritto Pubblico Italiano ed Europeo, cit., pp. 534 ss.

[20]V. M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., pp. 17 ss.

[21]Su questo argomento v. M. S. CICCONETTI, Lezioni di Giustizia Costituzionale, cit., pp. 8 ss.

[22]Al riguardo v. A. VITALE, Diritto pubblico, cit., pp. 176 ss.

[23]Cfr. E. MALFATTI, S. PANIZZA, R. ROMBOLI, Giustizia Costituzionale, cit., pp. 12 ss; A. D’ATENA, Lezioni di Diritto Costituzionale, cit., pp. 9 ss.

[24]Riguardo a questo aspetto, v. P. CRUZ VILLALÓN, La Circolazione dei Modelli e delle Tecniche del Giudizio di Costituzionalità In Europa; Atti del Convegno annuale dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, celebrato il 27-28 ottobre 2006, in Roma, nell’Aula Magna, dell’Università degli Studi di Roma, La Sapienza. Del titolo: I conflitti di competenza legislativa in Spagna, in www.associazionedeicostituzionalisti.it; L. PEGORARO, Giustizia Costituzionale, Sezione I: I modelli di giustizia costituzionale, Diritto Costituzionale Italiano e Comparato, cit., pp. 858 ss.

[25]V. A. RUGGERI, A. SPADARO, Lineamenti di Giustizia Costituzionale, cit., p. 19; G. VERGOTTINI DE, Diritto Costituzionale Comparato, Volume I, Sesta Edizione, (CEDAM), Padova, 2004, pp. 547 ss; A. CERRI, Corso di Giustizia Costituzionale, cit., p. 17 ss; M. VOLPI, Le forme di Governo, Sezione I: La tipologia delle forme di governo, Diritto Costituzionale Italiano e Comparato, cit., pp. 502 ss; M. DI CELSO MAZZIOTTI, G.M. SALERNO, Manuale di Diritto Costituzionale, cit., p. 498.

[26]Sul sistema austriaco v. H. SCHÄFFER, La Circolazione dei Modelli e delle Tecniche del Giudizio di Costituzionalità In Europa, Atti del Convegno annuale dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti; celebrato il 27-28 ottobre 2006, in Roma, nell’Aula Magna, dell’Università degli Studi di Roma, La Sapienza. Del titolo: Giurisdizione costituzionale e conflitti tra poteri legislativi centrali e regionali nell’esperienza austriaca, in www.associazionedeicostituzionalisti.it; A. D’ATENA, Lezioni di Diritto Costituzionale, cit., pp. 135 ss; A. DEMMIG ANZON, I poteri delle regioni. Lo sviluppo attuale del secondo regionalismo, cit., pp.17 ss.; J. BRAGE CAMAZANO, La acción de inconstitucionalidad, Instituto de Investigaciones Jurídicas de la Universidad Nacional Autónoma de México (UNAM), Messico, 1998, pp. 62 ss; A. RUGGERI, A. SPADARO, Lineamenti di Giustizia Costituzionale, cit., p. 25.

[27]Per un esame sul sistema tedesco v. G. VERGOTTINI DE, Diritto Costituzionale Comparato, cit., pp. 515 ss; A. CERRI, Corso di Giustizia Costituzionale, cit., pp. 18 ss; F. MODUGNO, Diritto pubblico generale, cit., pp. 93 ss; RUGGERI, A. SPADARO, Lineamenti di Giustizia Costituzionale, cit., pp. 19 ss; L. PEGORARO, Giustizia Costituzionale, Sezione I: I modelli di giustizia costituzionale, Diritto Costituzionale Italiano e Comparato, cit, pp 856 ss; P. HABERLE, El recurso de amparo en el sistema german-federal de jurisdicción constitucional, trad. sp. a cura di C. M. RUÍZ MARTÍNEZ, La jurisdicción constitucional en Iberoamérica, cit., pp. 227 ss.

[28]Riguardo al mandato de seguranca v. GIDI ANTONIO, Acciones de grupo y amparo coletivo en Brasil, La protección de derechos difusos, colectivos e individuales homogéneos. Miguel Ángel Porrúa, Messico, 2003, pp. 2539 ss; La Costituzione della Repubblica del Brasile, Titolo II, in www.camara.gov.br.

[29]Per quanto riguarda gli effetti delle sentenze che sono stati scelti, sono quelli con carattere successivo all’entrata in vigore dell’atto, costitutivo considerato che innovano l’ordinamento, assoluto visto che producono effetti erga omnes e parzialmente retroattivo, nel senso che gli effetti decorrono, salvo eccezioni, dal momento in cui si è realizzata l’antinomia tra la norma legislativa e quella costituzionale.

[30]La Costituzione italiana ha previsto la istituzione della Corte e le sue funzioni fondamentali (articolo 134), la sua composizione (articolo 135), gli effetti delle sue decisioni sulle leggi (articolo 136); ma ha rinviato a successive leggi costituzionali e ordinarie l’ulteriore disciplina di essa e della sua attività. Era dunque necessario che venissero approvate queste leggi, perché la Corte potesse concretamente costituirsi e iniziare a funzionare. Nel febbraio del 1948 la stessa Assemblea costituente (i cui poteri erano stati prorogati per due mesi) approvò la legge costituzionale n. 1 del 1948, che stabilisce chi e come può ricorrere alla Corte. Si dovettero attendere però cinque anni perché venissero approvate la legge costituzionale n. 1 del 1953 e la legge ordinaria n. 87 dello stesso anno, che completano l’ordinamento della Corte. Dopo lo scioglimento delle Camere e le nuove elezioni (svoltesi sempre nel 1953), altri ritardi furono dovuti alle difficoltà del Parlamento di trovare gli accordi necessari ad eleggere, con le elevate maggioranze richieste, i cinque giudici di sua competenza. Solo nel 1955 fu completata la prima composizione della Corte costituzionale, che si insediò nel palazzo della Consulta e si diede la prima necessaria organizzazione, emanando anche le norme regolamentari per la disciplina dei suoi procedimenti: le cosiddette “Norme integrative”. Sette anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione, finalmente la Corte era in grado di funzionare. (v. al riguardo A. GALANTE GARRONE, Profilo della Costituzione, cit., pp. 169 ss). Si aggiunsero, successivamente all’entrata in funzione della Corte, la L. cost. 22 novembre 1967, n. 2 ed il regolamento, adottato dalla stessa Corte ai sensi degli artt. 14 e 22 della citata L. n. 87, recante “Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale”. Nel periodo intercorso tra le due date suddette, il controllo di costituzionalità fu un controllo di tipo diffuso affidato alla magistratura, ai sensi della VII disp. trans. fin. della Costituzione, co. 2, secondo la quale: “Fino a quando non entri in funzione la Corte costituzionale, la decisione delle controversie indicate nell’art. 134 avviene nelle forme e nei limiti delle norme preesistenti all’entrata in vigore della Costituzione”.

[31]V. i passaggi salienti del discorso di E. DE NICOLA, nell’Udienza inaugurale del 23 aprile 1956, celebrata in Roma, nel Palazzo della Consulta, in www.cortecostituzionale.it.

[32]Il 23 aprile 1956 si tenne la prima udienza pubblica della Corte, presieduta dal suo primo Presidente, Enrico De Nicola: lo stesso che aveva ricoperto la carica di capo provvisorio dello Stato repubblicano nonché, per pochi mesi, di Presidente della Repubblica. La prima questione discussa riguardava la costituzionalità di una norma della vecchia legge di pubblica sicurezza del 1931, che richiedeva un’autorizzazione di polizia per distribuire volantini o affiggere manifesti, e puniva la distribuzione o affissione non autorizzate: questione sollevata da ben trenta diversi giudici penali di tutto il paese, i quali dubitavano della conformità della norma all’articolo 21 della Costituzione, che garantisce la libertà di manifestazione del pensiero. Per sostenere l’incostituzionalità della legge parlarono alcuni fra gli avvocati e i giuristi più illustri, fra cui Costantino Mortati, Vezio Crisafulli e Giuliano Vassalli (tutti, più tardi, in tempi diversi, eletti giudici costituzionali), nonché Piero Calamandrei, già membro dell’Assemblea costituente e grande studioso del processo e della Corte costituzionale. La Corte dovette anzitutto decidere sul punto, molto discusso, se la sua competenza a controllare la costituzionalità delle leggi si estendesse anche alle leggi emanate prima della Costituzione (come appunto la legge di pubblica sicurezza del 1931) o fosse invece limitata (come sosteneva l’Avvocatura generale dello Stato, in rappresentanza del Presidente del Consiglio) alle leggi approvate dopo la Costituzione. È evidente l’importanza del problema, dato che gran parte della legislazione che allora, e ancora per molti anni in sèguito, componeva l’ordinamento del nostro Stato veniva dal fascismo e dall’epoca precedente ed era rimasta in vigore. Escludere il controllo della Corte su di essa avrebbe significato impedire di fatto che la Costituzione diventasse davvero operante in molti settori dell’ordinamento, rinviandone l’attuazione a tempo indefinito. La Corte affermò che tutte le leggi, anteriori o posteriori alla Costituzione, potevano essere controllate e dovevano essere annullate se contrastanti con la Costituzione. I principi di questa, infatti, non si rivolgono solo al legislatore, ma si impongono immediatamente a tutti: cittadini, autorità e giudici. La norma della legge di pubblica sicurezza che era stata impugnata fu così dichiarata incostituzionale. È tale storica sentenza n. 1 del 1956 che ha aperto la strada ad innumerevoli sentenze successive, le quali hanno “bonificato” l’ordinamento da molte norme delle vecchie leggi non in armonia con la nuova Costituzione, nei campi in cui l’intervento innovatore del Parlamento nel tempo è mancato, ha tardato o è stato inadeguato. Cfr. CORTE COSTITUZIONALE, Che cosa è la Corte costituzionale, Roma, 2009. pp. 19 ss.

[33]Dal 1956 la Corte ha pronunciato molte migliaia di decisioni. Mediamente un migliaio di casi ogni anno vengono sottoposti al suo esame, e la Corte li decide (riunendo i casi simili) pubblicando circa 500 decisioni all’anno. Dopo lo straordinario impegno richiestole nel 1978-79 per il processo “Lockheed”, che aveva provocato un certo ritardo nella risoluzione delle altre cause, essa si è “messa in pari” nel 1988, con uno sforzo organizzativo eccezionale, compiuto sotto la presidenza di Francesco Saja, e da allora si mantiene al passo con il ritmo dei casi che sopravvengono ogni anno. Normalmente, passano circa dodici mesi dal momento in cui il caso perviene alla Corte a quello in cui la decisione è pubblicata; in casi particolari l’intervallo è addirittura minore. V. A. MARINI, Cinquanta anni di attività della Corte costituzionale, cit., in www.cortecostituzionale.it; N. OCCHIOCUPO, La Corte costituzionale come giudice di opportunità delle leggi, in La Corte costituzionale tra norma giuridica e realtà sociale, Bilancio di vent’anni di attività, Il Mulino, Bologna, 1978, pp. 28 ss; V. CRISAFULLI, La Corte costituzionale ha vent’anni, in La Corte costituzionale tra norma giuridica e realtà sociale, Bilancio di vent’anni di attività, Il Mulino, Bologna, 1978, pp. 28 ss.

[34]É da rilevare che la Corte costituzionale italiana, oltre al giudizio di legittimità costituzionale delle leggi, ha una serie di competenze diverse, previste dall’art. 134 Cost. e, per una soltanto, dall’art. 2 della L. cost. n. 1 del 1953. Complessivamente, le competenze della Corte costituzionale sono le seguenti: a) giudizio sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni; b) giudizio sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e su quelli tra lo Stato e le Regioni e tra le Regioni; c) giudizio sulle accuse contro il Presidente della Repubblica, a norma della Costituzione; d) giudizio di ammissibilità sulle richieste di referendum abrogativo previsto dall’art. 75 Cost. (L. cost. n. 1 del 1953, art. 2). V. A. GALANTE GARRONE, Profilo della Costituzione, cit., pp. 169 ss; G. LOCATI, G. SASSO, Elementi di Diritto Pubblico, La culturale, Milano, 1959, pp. 118 ss.

[35]V. J. ACOSTA SÁNCHEZ, Formación de la Constitución y Jurisdicción Constitucional, cit., pp. 283 ss.

[36]Su questi aspetti v. F. BONINI, Storia della Corte Costituzionale, cit., pp. 129 ss.

[37]Cfr. R. ROMBOLI, Italia, AJA, E. (ed.), Las Tensiones entre el Tribunal Constitucional y el Legislador, cit., pp. 91 ss.

[38]V. P. A. CAPOTOSTI, Atti del seminario Giurisprudenza costituzionale ed evoluzione dell’ordinamento italiano, tenutosi al Palazzo della Consulta il 24 maggio 2006, in www.cortecostituzionale.it.

[39]V. la sentenza in www.cortecostituzionale.it.

[40]Cfr. F. BONINI, Storia della Corte Costituzionale, cit., pp. 154 ss.

[41]V. la sentenza n. 9 del 1959, in www.cortecostituzionale.it.

[42]V. le sentenze nn. 13 del 1960; 73 del 1965; 100 del 1970, in www.cortecostituzionale.it.

[43]V. la sentenza n. 30 del 1971, sul controllo della legge di recepimento delle norme del Concordato in tema di matrimonio. In www.cortecostituzionale.it.

[44]Cfr. E. CHELI, Il giudice delle leggi. La Corte costituzionale nella dinamica dei poteri: una nuova edizione aggiornata, cit., pp. 35 ss; E. CHELI, Corte costituzionale ed iniziativa economica privata, pp. 295 ss.

[45]Cfr. A. LA PERGOLA, Conferenza stampa, celebrata in Roma, nel Palazzo della Consulta, il 12 febbraio 1987, in www.cortecostituzionale.it.

[46]Cfr. L. ELIA, Giustizia costituzionale e diritto comparato (appunti di ricerca), Quaderni costituzionale, 1984, p. 16.

[47]V. A. PUGIOTTO, Sindacato di costituzionalità e diritto vivente. Genesi, uso, implicazioni, Giuffrè, Milano, 1994; F. BONINI, Storia della Corte Costituzionale, cit., pp. 269 ss; G. ZAGREBELSKY, Cinquanta anni di attività della Corte costituzionale, Cerimonia, celebrata in Roma, nel Campidoglio il 21 aprile 2006, in www.associazionedeicostituzionalisti.it.

[48]V. la sentenza n. 219 del 1975, che determinò una presa di posizione parlamentare contraria alla sua applicazione, in www.cortecostituzionale.it.

[49]Su questo punto v. E. CHELI, Il giudice delle leggi. La Corte costituzionale nella dinamica dei poteri: una nuova edizione aggiornata, cit., pp. 37 ss.

[50]V. le sentenze nn. 3 del 1976; 33 del 1980; 89 del 1984; 212 del 1986; 378 del 1988; 826 del 1988, in www.cortecostituzionale.it.

[51]Cfr. G. CONSO, Conferenza stampa del 15 gennaio 1991, in www.cortecostituzionale.it.

[52]V. la sentenza n. 302 del 1988, in www.cortecostituzionale.it.

[53]Cfr. G. CONSO, Atti del seminario Giurisprudenza costituzionale ed evoluzione dell’ordinamento italiano, tenutosi al Palazzo della Consulta il 24 maggio 2006, pp. 3 ss, in www.cortecostituzionale.it.

[54]La fase dell’efficienza operativa metteva in luce due problemi cui conviene accennare. Un primo problema riguardava l’efficacia nel tempo delle sentenze costituzionali. Il modello costituzionale tracciato nell’articolo 136, della Costituzione e nell’articolo 30, della Legge n. 87 del 1953 è troppo rigido. La parziale retroattività delle pronunce prevista da tale modello può, a volte, determinare conseguenze gravi in tema di caducazione degli atti e di validità dei procedimenti in corso. La Corte ha cercato in taluni casi di rimediare a tali conseguenze ponendo, nei dispositivi delle sentenze, un termine per la decorrenza degli effetti, termine che fa salvi gli atti compiuti fino a quella data. In altri casi la Corte, nell’estendere a talune categorie norme di beneficio previste per categorie diverse, ha stabilito che l’estensione possa decorrere da una certa data e questo per evitare conseguenze finanziere troppo onerose; ma il problema rimane aperto, perché resta pur sempre la possibilità che il giudice ordinario non si senta vincolato al limite temporale posto dalla Corte ed estenda anche oltre tale limite l’applicazione della pronuncia costituzionale. Un secondo problema è quello delle cosiddette – sentenze di spesa – cioè delle sentenze che, nel dichiarare illegittima una legge, sottraggono un’entrata o aumentano spesa per il bilancio statale. In questi casi nasce un problema rispetto dell’articolo 81, della Costituzione: la Corte determina, attraverso la propria sentenza, una riduzione di entrate o un aumento di spese, senza offrire la relativa copertura. A questo proposito si pone la domanda se la Corte costituzionale si debba preoccupare della copertura della spesa nel momento in cui incide con la sua pronuncia sull’equilibrio del bilancio, in altre parole se debba completamente disinteressare dei problemi di copertura che investono esclusivamente la sfera governativa. La linea che tende a prevalere è nel senso che, non rappresenta un limite insuperabile, perché la Corte non può farsi carico delle conseguenze finanziarie delle sue sentenze. È un ragionamento che può convincere in astratto, ma che diventa molto difficile quando entrano in gioco sentenze in grado di determinare sensibili alterazioni nella politica di bilancio. Cfr. R. ROMBOLI, Aggiornamenti in tema di processo costituzionale (1987-1989), (1990-1992), (1993-1995), Giappichelli, Torino, rispettivamente 1990, 1993 e 1996; Atti del Seminario di studi tenuto al Palazzo della Consulta nei giorni 8 e 9 novembre 1991, Le sentenze della Corte costituzionale e l’art.81 della Costituzione, Giuffrè, Milano 1993; Atti del Seminario di studi tenuto al Palazzo della Consulta nei giorni 23 e 24 novembre 1988, Effetti temporali delle sentenze della Corte costituzionale anche con riferimento alle esperienze straniere, Giuffrè, Milano 1989.

[55]Cfr. la sentenza n. 38/1973, in www.cortecostituzionale.it.

[56]Cfr. le sentenze nn. 17/1981, 125/1992, 140/1993 (pena dell’ergastolo e rieducazione dei minori), 168/1994, 109/1997, (individuazione e flessibilità della pena nei confronti del minore), 433/1997, in www.cortecostituzionale.it.

[57]Cfr. le sentenze nn. 62/1981 (doppio grado di giurisdizione), 50/1989 (pubblicità del dibattimento), 232/1998 (necessaria brevità dei termini di carcerazione preventiva), 399/1998 (sulle notifiche agli irreperibili, che contiene riferimento anche a giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo), 32/1999 (diritto all’interrogatorio predibattimentale dell’imputato sottoposto a carcerazione preventiva), 109/1999 (riparazione per carcerazione ingiusta), in www.cortecostituzionale.it.

[58]Cfr. la sentenza n. 278/1992, in www.cortecostituzionale.it.

[59]Cfr. le sentenze nn. 11, 80/1981, 344/1992, 10/1999, in www.cortecostituzionale.it.

[60]Cfr. la sentenza n. 388/1999, in www.cortecostituzionale.it.

[61]Cfr. la sentenza n. 220/1986, in www.cortecostituzionale.it.

[62]V. R. MONACO, Giustizia costituzionale e giurisdizioni sopranazionali, in G. LOMBARDI, Costituzione e giustizia costituzionale nel diritto comparato, cit., pp. 343 ss.

[63]È poi da ricordare come la Corte di giustizia comunitaria si sia trovata ad applicare ed interpretare trattati ed atti relativi prevalentemente alla materia economica ed anche a quella sociale, senza un paradigma prefissato di diritti umani e senza il conforto di principi generali di diritto amministrativo e costituzionale; ha, dunque, fatto riferimento, a questi fini, alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri (per ricordare sole le ragioni di questa giurisprudenza che in seguito ha avuto svolgimenti cospicui, cfr., ad esp. sent. 12 novembre 1969, causa 29/69, Stauder, sulla indicazione delle norme degli acquirenti per la fornitura di burro a prezzi ridotti, motivata da ragioni di assistenza sociale; 17 dicembre 1970, causa 11/70, Internationale Handelgesellschaft, con riguardo ai principi di libertà di disposizione economica e di proporzionalità delle misure restrittive; 14 maggio 1974, causa 4/73, Nold, con riguardo al diritto di pieno sviluppo della persona, che potrebbe esser pregiudicato da restrizioni le quali incidono su imprese minori, di proprietà, di proporzionalità. Cfr., sent. 12 giugno 2003 –C-112/00, sulla libertà di riunione e sul commercio inter-statale (caso dell’autostrada del Brennero occupata da manifestazione ambientalistica, ecc. Può osservarsi che questi rimedi giurisdizionali operano, talvolta, su piani diversi: dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, ad es., può essere convenuto lo Stato per una sentenza emessa da un suo giudice; ed, in ipotesi di accoglimento del ricorso, non può esser riformata detta sentenza, ma eventualmente, solo condannato al risarcimento lo Stato da cui promana. In altri casi, opera su piani interferenti: così un provvedimento od una legge in materia economica può essere oggetto di giudizio da parte dei giudici italiani o della Corte costituzionale alla stregua dell’ordinamento interno o dei giudici comunitari alla stregua dell’ordinamento europeo: i rimedi sono interferenti perché conducono entrambi all’annullamento dell’atto. Un problema di pregiudizialità, d’altra parte, si pone solo quando entrambi i rimedi siano stati esperiti; mentre, invece, resta nella libertà dell’operatore giuridico privato o nella discrezionalità di quello pubblico esperire l’uno o l’altro. La diversità di questi rimedi si riconduce a regole giuridiche sostanziali in larga misura orientate nel medesimo senso, pur se con accentuazioni, di volta in volta, maggiori o minori (ciò avviene, ad es., con riguardo alla costituzione economica italiana ed europea); ma anche, talvolta, a regole fra loro davvero incompatibili. Nel primo caso il conflitto fra norme e ordinamenti viene in genere evitato interpretando le norme di un ordinamento in un senso compatibile con quelle dell’altro (si tratta, appunto dell’osmosi in duplice flusso, cui si accennava); nel secondo caso il conflitto viene risolto o ad un livello superiore (comunitario, ad es.), ammettendo margini di autonomia (o residua sovranità) degli Stati membri per ragioni tassativamente indicate (art. 30 del consolidato normativo dei trattati comunitari) e con criterio di stretta proporzionalità da intendere come minimo mezzo (giurisprudenza della Corte comunitaria) o affermando l’esistenza di controlimiti al diritto comunitario da far valere ad opera delle corti degli Stati membri; è evidente che, quando più viene inteso in senso ampio il margine di autonomia/sovranità degli Stati membri, tanto meni diviene attuale ed esperibile un problema di controlimiti.Deriva complessivamente dalla varietà e dall’intreccio dei diversi rimedi l’ulteriore consolidarsi, anche in nuovo contesto, di una struttura circolare ai vertici del sistema giuridico; che tiene luogo del tradizionale archetipo verticale. Ad ese., Corte Europea diritti dell’uomo (Jelo c. Italia, ric. 23053/02, del 6 dicembre 2005) che condanna l’Italia perché Corte cost. in sent. 417/1999 aveva rigettato conflitto di giudice contro parlamentare (Parenti) su esercizio di funzioni giurisdizionali, per essere le dichiarazioni non collegate all’esercizio delle funzioni parlamentari. Nel caso (Cordova), la Corte dei diritti dell’uomo ha poi censurato la decisione del giudice di non sollevare conflitto. Cfr. anche Cons. St., sez. VI. 19 luglio 2005, n. 3846, che rimette a Corte europea questione che avrebbe potuto essere di costituzionalità (se sia compatibile con il diritto europeo e con il pluralismo il duopolio televisivo). Cfr. Atti del Seminario di studi tenuto al Palazzo della Consulta nei giorni 15 e 16 ottobre 1990, La Corte costituzionale tra diritto interno e diritto comunitario, Giuffrè, Milano 1991, pp. 19 ss; Atti del Seminario di Pisa del 5 maggio 1990, S. GRASSI, Osservazioni sul nuovo ruolo della Corte costituzionale nella forma di governo, in La giustizia costituzionale ad una svolta, a cura di R. ROMBOLI, Giappichelli, Torino 1991, pp. 151 ss; V. ONIDA, Corte costituzionale e forma di governo, in La riconquista dell’Italia, a cura di L. CAVAZZA, Longanesi, Milano, 1993; A. CERRI, Corso di Giustizia Costituzionale, cit., pp. 42 ss; T. GROPPI, Hacia una justicia constitucional “dúctil”?,Tendencias recientes de las relaciones entre Corte constitucional y jueces comunes en la experiencia italiana, in Derecho Procesal Constitucional. Colegio de Secretarios de la S.C.J.N., A.C., cit., pp. 344 ss.

 

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