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LO SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO IN VIA PRINCIPALE NELL’ORDINAMENTO ITALIANO, (PROFILI PROCESSUALI): YULHMA V. BALDERAS ORTIZ.

LO SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO IN VIA PRINCIPALE NELL’ORDINAMENTO ITALIANO: (PROFILI PROCESSUALI) 

di Avv. Yulhma V. Balderas Ortiz
Dottore di ricerca in Diritto pubblico, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”

A differenza del giudizio incidentale, che è contraddistinto dalla non necessaria presenza delle parti, il giudizio in via principale è caratterizzato come un giudizio di parti.

I soggetti processuali[1] che possono costituirsi innanzi alla Corte, sono per quanto riguarda lo Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, e per la Regione, il Presidente della Giunta regionale, rappresentato e difeso da avvocati del libero foro. Le parti intervengono per la tutela di un proprio interesse e sono attivi nel seguire le sue varie fasi, potendo giungere a rinunciare all’azione.

Il giudizio in via principale è introdotto mediante ricorso[2]. Per quanto riguarda lo Stato, il ricorso è sollevato innanzi alla Corte tramite il Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, anche su proposta della Conferenza Stato-Città e autonomie locali. Una volta presentata tale istanza è richiesto, a pena di inammissibilità, la comunicazione di questa all’ente di cui si impugna la legge[3]. In questo caso il Presidente della Regione interessata, è comunicato sulla proposizione del ricorso entro 60 giorni dalla pubblicazione[4], o entro il termine di 30 giorni nell’ipotesi in cui la questione di legittimità si riferisca ad una legge o di un atto con forza di legge della Regione, o di uno Statuto[5].

Come si desume spetta in via esclusiva al Consiglio dei ministri (come Governo nella sua unitarietà), la deliberazione di tale impugnazione e non del Presidente del Consiglio[6], salvo l’ipotesi in cui, sia impossibile la tempestiva convocazione del Consiglio dei ministri. In questo caso il ricorso notificato su iniziativa del solo Presidente del Consiglio è legittimo, se la ratifica dell’organo collegiale interviene prima del deposito dell’istanza[7].

Per quanto riguarda le Regioni, il ricorso è sollevato innanzi alla Corte costituzionale tramite il Presidente della Giunta, previa deliberazione della Giunta regionale, anche su proposta del Consiglio delle autonomie locali. In questo caso al Presidente del Consiglio dei ministri[8], va notificato il ricorso entro il termine di 60 giorni.

Infine, nel caso di impugnazione, da parte della Regione, nei confronti di una legge di un’altra Regione, il procedimento è identico, con la differenza che il ricorso deve essere notificato al Presidente della Giunta della Regione di cui si impugna la legge ed al Presidente del Consiglio dei ministri[9].

Appena sono state effettuate le comunicazioni del ricorso (Statale o Regionale), tale istanza deve essere depositata[10] nella Cancelleria[11] della Corte entro il termine di 10 giorni[12], dalla notificazione[13].

Circa i requisiti che deve contenere l’istanza con cui è stato introdotta la questione di legittimità costituzionale queste sono disciplinati negli articoli 23, 25, 26 31, 32, 33 e 34, della Legge n. 87/1953[14]. Per la materia si fa un rinvio dunque alle regole previste per il giudizio in via incidentale.

Il contenuto minimo richiesto all’istanza per la valida instaurazione del processo costituzionale dinnanzi alla Corte, è costituito dalla indicazione specifica delle disposizioni censurate e dei parametri di cui si lamenta la violazione, e anche da una motivazione circa le censure, determinandosi, in caso contrario, l’inammissibilità.

Su questo argomento è da ricordare che il grado di intensità del controllo operato in proposito dalla Consulta è oscillante da caso a caso, ma in linea di massima, soprattutto con riguardo al ricorso statale; è meno penetrante di quello che la stessa esercita nei confronti delle ordinanze di rimessione dei giudici a quibus nell’ambito del giudizio instaurato in via incidentale[15].

La Corte[16]. ha sostenuto che l’esigenza di individuare con esattezza i termini del ricorso, si pone in termini perfino più pregnanti nei giudizi diretti che non in quelli incidentali. Infatti la motivazione circa il dubbio di costituzionalità non deve essere limitata alla valutazione della non manifesta infondatezza, ma deve muoversi verso una dettagliata giustificazione[17].

La Consulta[18], è più flessibile riguardo all’interpretazione che il ricorrente dà della norma, materia del processo costituzionale. Tale flessibilità appare giustificata considerando che i brevi termini per sollevare il ricorso, rendono difficile una consolidazione di prassi interpretative, o, perfino un diritto vivente[19]. In questa prospettiva, basta che l’interpretazione adottata dal ricorrente non sia implausibile e irragionevolmente scollegata dalle norme censurate a tal punto da considerare che l’istanza è del tutto pretestuosa[20].

Inoltre, in merito all’osservanza delle norme sulla legittimazione sostanziale, esistono considerevoli criteri della Corte[21] relativi all’imprescindibile corrispondenza tra l’oggetto della delibera dell’organo politico e il contenuto dell’istanza.

Una questione molto discussa, riguarda l’ammissibilità della partecipazione delle Regioni terze o dello Stato, nel giudizio dinanzi alla Corte di cui non siano parti.

L’orientamento della Consulta in ordine al contradditorio nel processo costituzionale, è di assoluta chiusura alla possibile partecipazione di soggetti diversi dalla parte ricorrente e da quella resistente.

L’esigenza di un allargamento del contradditorio[22]si pone specialmente per quelle Regioni, diverse da quella ricorrente o la cui legge è stata impugnata, ma ugualmente interessate all’esito del processo costituzionale.

L’interesse di una Regione ad intervenire sembra evidente, nell’ipotesi in cui sia stata impugnata una legge statale, ritenuta lesiva delle proprie competenze, ovvero quando lo Stato abbia impugnato la legge di altra Regione, di contenuto analogo o identico ad una legge della Regione che chiede di intervenire, con la finalità di poter far valere le proprie motivazioni, in ordine ad una pronuncia che direttamente, come precedente o attraverso l’istituto della illegittimità costituzionale consequenziale, potrebbe incidere sulla sfera di competenza attribuita alla Regione stessa. Al riguardo né parrebbe potersi opporre la considerazione che in questo modo si verrebbero ad eludere i termini perentori per impugnare una legge statale, dal momento che l’intervento non potrebbe produrre alcun ampliamento del thema decidendum, che resterebbe fissato nei termini del ricorso che ha tempestivamente introdotto il giudizio nella via d’azione.

In questa prospettiva, le parti nel giudizio in via principale in senso stretto sono lo Stato e le Regioni, perciò la Consulta non ritiene ammissibili interventi di Regioni diverse da quella ricorrente o resistente, né di entità pubbliche o private. In via eccezionale la Corte costituzionale ha tuttavia considerato ammissibile l’intervento nel giudizio alla Provincia di Trento e Bolzano[23].

Per quanto riguarda l’ammissibilità dell’intervento di soggetti che non siano titolari di competenze legislative[24], la Consulta si è sinora orientata in senso decisamente negativo[25], dal momento che in tale giudizio non è ammessa la figura del contro interessato[26].

L’attività istruttoria dinanzi alla Corte costituzionale è analoga a quello del giudizio in via incidentale, ma ha delle significative particolarità.

Essa viene esercitata ai sensi della Legge n. 87 del 11 marzo 1953, delle Norme integrative del 16 marzo 1956, della Legge n. 131/2003, e delle Norme integrative del 7 ottobre 2008.

A seguito delle riforme[27] delle Norme integrative, è possibile anche nei giudizi in via d’azione la decisione in Camera di consiglio, nell’ipotesi di manifesta infondatezza od inammissibilità[28].

In considerazione della particolare urgenza del giudizio, la Consulta fissa l’udienza di discussione del ricorso entro 90 giorni dal deposito dello stesso. Il che significa che per i giudizi in via principale, sia che riguardino gli Statuti delle Regioni ordinarie, le leggi regionali o le leggi e atti con forza di legge dello Stato, è disposto un “diritto di precedenza” rispetto ai giudizi in via incidentale e  ai conflitti di attribuzione.

Inoltre, è da notare che negli ultimi anni[29], si è sviluppata la prassi[30] della separazione di questioni omogenee[31], all’interno del medesimo ricorso[32].

Per quanto riguarda l’attività istruttoria gli articoli 10 e 25[33], delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte, dispongono che almeno dodici giorni prima dell’udienza o della riunione in Camera di consiglio, le parti hanno facoltà di presentare memorie.

Ed ancora l’articolo 13 della Legge n. 87 del 11 de marzo de 1953, prevede la possibilità di disporre l’audizione di testimoni, anche in deroga ai divieti stabiliti da altre leggi, o il richiamo di atti o documenti e circa l’esecuzione dei mezzi di prova.

In mancanza di disposizione esplicita, le parti possano produrre documentazione a sostegno dei rispettivi ragionamenti. Il comportamento processuale delle parti e, segnatamente, ammissioni o mancate contestazioni può essere valutato ai fini del giudizio. Il generale principio di acquisizione processuale, sembra portare ad una valutazione dei documenti e dei comportamenti processuali anche oltre l’intenzione della parte[34].

La Consulta ha facoltà di disporre di mezzi istruttori, come nei giudizi incidentali tramite le rispettive ordinanze istruttorie, con tali ordinanze si tende ad acquisire la conoscenza di elementi relativi al rapporto sostanziale, come nel giudizio incidentale, utili anche solo a fini persuasivi, ad esempio: l’impatto sociale di una legge, le ragioni che hanno condotto alla sua approvazione, prassi amministrative, ecc[35].

A seguito della riforma del 2001, la Corte costituzionale ha fatto ricorso alla “attività istruttoria formalizzata”, per siffatti motivi, i risultati dell’attività istruttoria sono depositati nella Cancelleria e posti a disposizione delle parti costituite. Al riguardo è da ricordare che la prassi fin ora seguita della richiesta di atti e documenti direttamente dal giudice relatore, faceva sì che il materiale acquisito venisse successivamente distribuito ai giudici costituzionali, ma non depositato in Cancelleria e quindi non posto a disposizione delle parti[36].

Inoltre, sono stati evidenziati i rischi che potrebbero derivare dall’immediata entrata in vigore della legge regionale, con l’eliminazione della natura preventiva del controllo sulle leggi regionali. Per tali motivi, l’articolo 35 della legge n. 87/1953, come riformato dalla l. n. 131/2003, ha introdotto, con disposizione che vale sia per i ricorsi statali, sia per quelli regionali, il potere della Corte di sospendere[37] l’esecuzione dell’atto impugnato, allorché dalla esecuzione medesima possa derivare il rischio di un irreparabile pregiudizio all’interesse pubblico, all’ordinamento giuridico della Repubblica, ovvero il rischio di un pregiudizio grave ed irreparabile per i diritti dei cittadini.

Il giudizio[38] si può concludere con una sentenza[39] o con un’ordinanza. Per quanto riguarda le ordinanze, esistono due categorie[40]: la prima è relativa alla rinunzia al ricorso e la seconda riguarda l’estinzione della materia del contendere. Nella prima ipotesi la Consulta si limita a prendere atto della volontà delle parti, invece nella seconda esegue una verifica sostanziale, e valuta l’opportunità di non pronunciarsi[41].

Ai sensi dell’articolo 23, delle predette norme, ai giudizi così regolati si applicano gli articoli 4, 5, 6, 7, 8, 9, commi 2, 3 e 4, e da 10 a 17, perciò la rinuncia al ricorso, qualora sia accettata da tutte le parti costituite, estingue il processo. Inoltre, a norma dell’articolo 32, delle Norme integrative del 7 ottobre 2008, la Corte provvede alla correzione delle omissioni o degli errori materiali delle sentenze e delle ordinanze, anche d’ufficio, in Camera di consiglio con ordinanza e previo comunicazione alle parti costituite.

L’ordinanza di correzione è annotata sull’originale della sentenza o dell’ordinanza corretta. Qualora si tratti di sentenza che abbia dichiarato l’illegittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge, si applicano all’ordinanza di correzione le norme dell’articolo 30, commi primo e secondo, della legge 11 marzo 1953, n. 87.

Infine, ai sensi dell’articolo 32, delle predette norme integrative, tutte le decisioni della Corte sono pubblicate integralmente nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica; ove la decisione della Corte abbia ad oggetto una legge regionale o provinciale il Presidente ne dispone altresì la pubblicazione nel rispettivo Bollettino Ufficiale.

NOTE: 

[1]V. G.U. RESCIGNO, Corso di Diritto Pubblico, cit., pp. 464 ss; A. RUGGERI, A. SPADARO, Lineamenti di Giustizia Costituzionale, cit., pp. 218 ss.

[2]Sull’argomento A. CERRI: “(…)Il ricorso deve essere depositato in Cancelleria, nel termine di dieci giorni dalla notifica; la parte resistente può costituirsi entro venti giorni dalla scadenza del termine per tale deposito (art. 25, 31, u.c.o., 34, 1. n. 87/1953; art. 23 N.I.). I termini per il ricorso (sent. 15/1967, 147/1972, 54/1990), per la costituzione del ricorrente (dec. 191/1980, 72/1981, 100, 101/1985, 71, 278/1986, 238, 528, 643/1988; 283/1991, ecc.) e del resistente (dec. 71/1982; 13, 179/1987; 126/1997, ad es.) sono tutti intesi come perentori, rispondendo ad una ratio di certezza delle competenze (v., ad es., sent. 72/1981) e, dunque, ad un interesse pubblico. Sulla perentorietà dei termini cfr. anche dec. 343, 482, 483/1991; 313/1995; 126/1997; 477/2000; 376/2002; 226, 307, 331/2003, ecc. L’inosservanza del termine è rilevabile d’ufficio (cfr., implicitamente, ad es., sent. 283/1991 ed, esplicitamente, sent. 179/1987, pronunziata in conflitto. Oltre a ciò non si applica la sospensione feriale, prevista per i comuni giudizi (cfr., ad es., sent. 15/1967 e ord. 126/1997). Si applicano, ovviamente, le altre regole generali sul computo dei termini. Si ricorda che il termine di dieci giorni per il deposito del ricorso è previsto (art. 31, u. co., l. n. 87/1953, con motivazione (ai fini sollecitatori) rispetto alla consueta cadenza (di venti giorni) dei termini previsti dalla legge. Sul carattere perentorio anche di questo termine cfr. dec. 191/1980; 72/1981; 126/1997; 99/2000; 303/2003; 48/2004, ecc. Superata, dunque, è pregressa giurisprudenza che faceva decorrere il termine dall’effettivo deposito (cfr., ad es., sent. 155/1985; 477/2000). Appare, inoltre, incongruo applicare (come in genere avviene) i termini previsti per la costituzione del resistente (destinatario di una notifica) anche all’ipotesi di intervento (cfr., ad es., sent. 343, 482, 483/1991; 226/2003). Il mancato rispetto del termine per la proposizione o il deposito del ricorso comporta l’inammissibilità del medesimo; il mancato rispetto del termine per la costituzione del resistente comporta, invece, ovviamente, solo la mancata valida costituzione di questo. Con formalismo forse eccessivo si è esclusa la validità di una notifica all’Avvocatura dello Stato (dec.. 548/1989; 355/1992; 295/1993; 266/1995; 135/1997; 42/2004, ecc.), non risultando applicabile alla Corte la normativa sulla notifica degli atti processuali alle amministrazioni pubbliche, escludendosi anche la sanatoria dell’invalidità dell’atto in conseguenza della costituzione del resistente (dec, 13/1960; 15 del 1967, che valorizza l’interesse, nei rapporti fra Stato e Regione, alla sollecita rimozione di situazioni d’illegittimità costituzionale; 191/1980; 72/1981; 100, 101, 241/1985; 70, 71, 240, 278/1986; 13, 139/1987; 238, 528, 643/1988 295/1993; 126/1997, ecc.). Cfr., diversamente, nel giudizio incidentale. Si tratta di giurisprudenza comune al conflitto intersoggettivo. Con riguardo al decreto legge, la problematica del rispetto di termini perentori si coniuga con altra, di natura sostanziale, che attiene al rapporto fra tale atto con valore legislativo e la legge che lo converte: il collegamento particolare fra l’uno e l’altra conduce la Corte a ritenere che l’impugnativa proposta in termini nei confronti del primo si comunichi in via automatica alla seconda, senza che occorra una distinta impugnativa, in termini, di questa (sent. 75/1967, ord. 182/1993); cfr., in seguito, ad es., sent. 185/1981; 169/1984; 41/1985; 70/1987; 742/1988; 55/1989, ecc. Ciò vale, ovviamente, anche con riguardo al giudizio incidentale (cfr. sent. 75/1989). Si è già fatto cenno del caso di decreto legge adottato prima della revisione del tit. V°, parte Ila Cost., ma convertito successivamente; ed anche al problema dell’integrazione dei motivi d’impugnativa; in ipotesi di legge che converta con emendamenti. Cfr., peraltro, ord. 137/2004. Vero è che questa particolare giurisprudenza relativa al decreto-legge ha finito con l’essere quasi riassorbita da giurisprudenza che ammette il trasferimento della questione su disposizione successiva che riproduca la medesima “norma”, privilegiando la tutela della legittimità costituzionale (o, come dice “il principio di effettività della tutela delle parti nel giudizio in via di azione”) rispetto al principio di perentorietà dei termini (che richiederebbe l’impugnazione anche della legge riproduttiva): cfr. sent. 63/2000; 533/2002: ord. 137 e sent. 286, 187/2004; 239/2006; 193/2007, ecc. Valorizzano, invece, l’onere di impugnazione della legge successiva (eventualmente anche di sanatoria del decreto-legge non convertito): sent. 430/1997; 405/2000; 37/2003. Del tutto particolare è la fattispecie decisa con sent. 429/1997”. (qui riportato quasi testualmente). V. Corso di giustizia costituzionale, cit. pp. 312 ss.

[3]V. R. BIN, G. PITRUZZELLA, Diritto Pubblico, cit., pp. 483 ss; E. MALFATTI, S. PANIZZA, R. ROMBOLI, Giustizia Costituzionale, cit., pp. 179 ss.

[4]V. l’articolo 31, terzo comma e l’articolo 32 della Legge n. 87, del 11 marzo 1953 in SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., pp. 36 ss; l’ordinanza n. 20/2005, in www.cortecostituzionale.it.

[5]È da notare  che la Corte sul computo dei termini ha chiarito che il decorso di tali, al fine di sollevare il ricorso, tra le due pubblicazioni citate nell’articolo 123 della Costituzione, quella rilevante ai fini del decorso dei termini per l’impugnazione non sia quella integrativa dell’efficacia dello Statuto, una volta conclusosi il suo iter formativo, ma quella notiziale, a partire dalla quale si calcolano anche i tre mesi per la proposizione dell’eventuale referendum approvativo. Gli stessi termini sono applicabili per l’impugnazione di leggi ordinarie o statutarie delle Regioni speciali e delle Provincie autonome. V. sentenza n. 304 del 2002, in www.cortecostituzionale.it.

[6]V. l’articolo 2, comma 1, lettera d, della Legge n. 400/1988 in SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., p. 89.

[7]V. la sentenza n. 54/1990, in www.cortecostituzionale.it.

[8]È da notare  che la Corte costituzionale su tale notifica ha chiarito che questa deve effettuarsi direttamente al Presidente del Consiglio e non tramite l’Avvocatura dello Stato. V. le sentenze nn. 333/2000 e 196/2004, in www.cortecostituzionale.it.

[9]V. l’articolo 33, della Legge n. 87/1953, in M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., p. 38.

[10]Soltanto il deposito dei ricorsi di cui agli articoli 19, 24 e 25 delle Norme Integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale italiana del 7 ottobre 2008, può essere effettuato avvalendosi del servizio postale. In tal caso, ai fini dell’osservanza dei termini per il deposito, vale la data di spedizione postale.

[11]Il Presidente, accertata, sulla base delle verifiche effettuate dal cancelliere ai sensi del regolamento di cancelleria, la regolarità degli atti e delle notificazioni, dispone la pubblicazione dei ricorsi nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, nonché, ove si faccia questione di un atto di una Regione o di una Provincia autonoma, nel rispettivo Bollettino Ufficiale, previa annotazione dei ricorsi stessi, a cura del cancelliere, in ordine cronologico, nell’apposito registro. V. l’articolo 20, delle Norme Integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale italiana del 7 ottobre 2008.

[12]V. l’articolo 33, ultimo comma della Legge n. 87/1953, in M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, op. cit., p. 38.

[13]V. l’articolo 31, ultimo comma, e articolo 32 della Legge n. 87, del 11 marzo 1953 in SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., pp. 36 ss; l’ordinanza n. 20/2005, in www.cortecostituzionale.it.

[14]V. M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari,  cit., p. 38.

[15]V. E. MALFATTI, S. PANIZZA, R. ROMBOLI, Giustizia Costituzionale, cit., p. 178.

[16]V. la sentenza n. 384 del 1999 in www.cortecostituzionale.it.

[17]V. F. S. MARINI, G. GUZZETTA, Diritto Pubblico Italiano ed Europeo, cit., p. 540.

[18]V. la sentenza n. 228 del 2003 in www.cortecostituzionale.it.

[19]V. F. S. MARINI, G. GUZZETTA, Diritto Pubblico Italiano ed Europeo, cit., p. 549.

[20]V. la sentenza n. 249 del 2005 in www.cortecostituzionale.it.

[21]V. le sentenze nn. 315/2003, 338/2003, 238/2004, 286/2004 e, 95/2005 in www.cortecostituzionale.it.

[22]Come sottolineato dalla prevalente dottrina italiana, che ha proposto in proposito di ammettere le figure di un intervento di tipo adesivo-dipendente o ad opponendum. V. E. MALFATTI, S. PANIZZA, R. ROMBOLI, Giustizia Costituzionale, cit., p. 178.

[23]Sull’argomento A. CERRI: “(…)Unica eccezione è stata la accennata ammissibilità dell’intervento della Provincia di Trento o Bolzano in giudizio promosso da o nei confronti di una sola di queste, quando la questione le coinvolga entrambe (sent. 353/2001). Non sono mancati giudizi principali soggettivamente complessi, sia per riunificazione di giudizi promossi da distinti soggetti, sia quando già il ricorso avesse individuato una pluralità di resistenti (sent. 353/2001; 533/2002, ad es.). L’inammissibilità di intervento di Regione collegittimata all’impugnazione è stata ritenuta dalla sent. 111/1975, relativa, invero, a conflitto fra Regione e Stato; si tratta, peraltro, di problema comune al giudizio principale. Si è esclusa poi la legittimazione del Comune ad intervenire pur in questione relativa a legge provvedimento che trasferiva a lui bene demaniale rivendicato dalla Provincia autonoma di Bolzano (sent. 130/1977; cfr. anche sent. 343/1991). Già con ord. (s.n.) 30 maggio 1956 la Corte ebbe a dichiarare inammissibile intervento di ente pubblico la cui costituzione e funzionamento era disciplinata dalla legge oggetto dell’impugnativa, escludendo anche la riferibilità al giudizio principale della categoria processual-amministrativistica del “contro-interessato”. Si è confermata in seguito l’esclusione di una legittimazione all’intervento di entità pubbliche o private, portatrici di interessi coinvolti nella pregiudicando dedotta in via principale: cfr. dec. 517/1987, 2, 507/1993 (Coni); 35/1995 (Federazione caccia); 378 (autorità portuale)/2005. Cfr. anche, per un obiter dictum, sent. 22/1958 (in giudizio incidentale). Si è escluso l’intervento di privati (cfr. sent. 182/1987, su legge concernente imprese auto produttrici di energia elettrica e sent. 293/1987, su legge di interpretazione autentica), pur in giudizio relativo a “legge-provvedimento” che direttamente li concerne (sente. 446/1994). Cfr. anche dec. 2, 507/1993; 35/1995; 382/1999 (Codacons e gruppo “verdi”); 507/2000; 510, 553/2002; 338, 345/2003, 196, 378 (Consigliere regionale)/2004; 150, 232, 336, 383, 469/2005; 51, 59, 80, 116, 129, 269, 450/2006, ecc. Talvolta gli interventi vengono dichiarati inammissibili perché tardivi, per mancato rispetto del termine di venti giorni dalla notifica, effettuata, peraltro, non nei confronti dell’interveniente ciò è del tutto incongruo. Anche a concedere esigenze di particolare celerità del giudizio principale (ed, in genere, dei giudizi innanzi alla Corte), il termine in questo caso non potrebbe non decorrere dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale, unico atto conoscibile dal terzo. Cfr., comunque, sent. 25/1956; 122/1957; 22/1958; 130, 182, 272, 293, 517/1987; 342, 482, 483/1991, ecc”. (qui riportato quasi testualmente). V. Corso di giustizia costituzionale, cit. pp. 316 ss.

[24]V. F. S. MARINI, G. GUZZETTA, Diritto Pubblico Italiano ed Europeo, cit., p. 555.

[25]V. le sentenze nn. 382/1999, 510/2002, 49/2003, 302/2003, 307/2003, 338/2003, 167/2004 e 196/2004 in www.cortecostituzionale.it.

[26]V. R. BIN, G. PITRUZZELLA, Diritto Pubblico, cit., pp. 483 ss; E. MALFATTI, S. PANIZZA, R. ROMBOLI, Giustizia Costituzionale,  cit., pp. 180 ss.

[27]V. l’articolo 25, nel testo di cui alla delibera 1 ottobre 1987, in Gazzetta Ufficiale del 6 ottobre 1987, n. 223.

[28]Sull’argomento: “(…)Come è noto, una riforma delle Norme integrative (art. 25, nel testo di cui alla delibera 1 ottobre 1987, in Gazz. uff. 6 ottobre 1987, n. 223) ha consentito, anche nei giudizi principali, la decisione in camera di consiglio (per manifesta infondatezza od inammissibilità, come è ovvio). Almeno dodici giorni prima dell’udienza o della riunione in camera di consiglio, le parti costituite possono presentare memorie (art. 10 e 25 N.I.). Si ammette, anche in carenza di disposizione esplicita, che le parti possano produrre documentazione a sostegno delle rispettive tesi; il medesimo comportamento processuale delle parti e, segnatamente, ammissioni o mancate contestazioni può esser valutato ai fini del giudizio. Il generale principio di acquisizione processuale, del resto, conduce ad una possibile valutazione dei documenti e dei comportamenti processuali anche oltre l’intenzione della parte. La Corte può, inoltre, disporre di mezzi istruttori, come nei giudizi incidentali, e ciò fa, appunto, attraverso ordinanza istruttoria. Trattandosi, di giudizio “contenzioso”, in questo caso dovrebbe risultar percepibile in misura più netta il limite dei “temi” proposti dagli atti di parte; l’istruttoria assume, dunque, carattere “acquisitivo” (non propriamente “dispositivo” e neppure “inquisitorio”). Le ordinanze istruttorie della Corte tendono ad acquisire la conoscenza elementi relativi al rapporto sostanziale, come nel giudizio incidentale, utili anche solo a fini persuasivi (impatto sociale di una legge, ragioni che hanno condotto alla sua approvazione, prassi amministrative, ecc.); o di elementi attinenti allo specifico rapporto processuale. Il materiale probatorio offerto in comunicazione può attenere al merito (adempimento degli obblighi comunitari: sent. 271/1996) o a dati processuali. L’indicazione della delibera di ricorso sembrerebbe doverosa, a pena d’inammissibilità (art. 23, N.I.), laddove tale non sembrerebbe essere il deposito di essa e della relazione del Ministro o di ulteriore documentazione connessa, che, dunque, potrà, essere acquisita (a fini anche di interpretazione e delimitazione del ricorso, come visto) in via istruttoria dalla Corte (sent. 20/2000) o può essere offerta in comunicazione dalle parti (sent. 29/1996; 229/2004), anche successivamente al ricorso (sent. 533, 536/2002; 129/2006).Un onere di indicazione dei “temi” di prova sembra, del resto implicito in quella giurisprudenza che dichiara cessata la materia del contendere per intervenuta abrogazione quando la. parte interessata neppure assume un inizio di esecuzione della legge impugnata: cfr. dec. 443/2002; 92, 228, 292/2003; 17, 203 (attestazione del difensore civico, condivisa dal ricorrente), 274/2004; 275/2007 (attestazione di non esecuzione legge del direttore servizio bilancio). Ma, ove ciò non risulti pacificamente, può essere anche oggetto di ordinanza istruttoria: sent. 272/2004. Tutto ciò evidenzia oneri probatori delle parti, facoltà probatorie ed anche il rilievo che assume, in questo contesto, la condotta processuale delle difese; ricordo che anche nella procedura civile le “ammissioni” (diverse dalle “confessioni”, ma sempre utile elemento di prova ai fini del decidere), possono essere desunte anche dalla condotta della difesa tecnica. Come la Corte adotta ordinanza istruttoria al termine dell’udienza di discussione, così non sembra esistano preclusioni per le parti a produrre materiale probatorio fino a tale momento (cfr., ad es., sent. 271/1996). Il generale potere di chiedere sospensione dell’atto sembra, del resto, escludere un ostacolo ad un rinvio ad udienza fissa per consentire alle altre parti una valutazione del materiale probatorio da una di esse offerto”. A. CERRI (qui riportato quasi testualmente). V. Corso di giustizia costituzionale, cit. pp. 318 ss.

[29]Tale circostanza è a seguito della crescita in quantità e in qualità del contenzioso fra lo Stato e le Regioni e della riforma del Titolo V della Costituzione.

[30]Tale prassi ha trovato la sua prima affermazione nella sentenza 201/2003, in cui la Consulta ha sostenuto che “il ricorso, uno nella forma, è plurimo nel contenuto” e pertanto “esigenze di omogeneità e univocità della decisione inducono a distinguere le materie e a procedere (…) alla decisione separata di ciascuna questione o gruppo di questioni”. In www.cortecostituzionale.it.

[31]V. E. MALFATTI, S. PANIZZA, R. ROMBOLI, Giustizia Costituzionale, cit., p. 180.

[32]Ai sensi dell’articolo 22 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale del 7 ottobre 2008, il Presidente può disporre la trattazione separata di questioni, tra loro non omogenee, poste con un unico ricorso e, ove questioni analoghe siano poste da altro ricorso, può disporre che siano discusse nella medesima udienza o trattate nella medesima camera di consiglio; sin modo analogo la Corte può disporre in presenza di cause la cui decisione dipende dalla soluzione di analoghe questioni.

[33]V. M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., pp. 49 e 55.

[34]V. A. CERRI, Corso di giustizia costituzionale, cit., p. 319.

[35] ibidem p. 319.

[36]V. E. MALFATTI, S. PANIZZA, R. ROMBOLI, Giustizia Costituzionale, cit., p. 180.

[37]Sull’argomento A. CERRI: “(…)Nel giudizio incidentale, si è accennato, raramente si pone un problema autonomo di sospensione dell’atto impugnato, risultando per lo più assorbito nella problematica relativa alla adottabilità di misure cautelari rispetto agli atti conseguenti a quello, di valore legislativo, di competenza dei giudici a quibus; nel giudizio principale il problema assume autonomo rilievo. Vero è che i tempi di decisione della Corte possono essere assai brevi (ed, anzi, ora si prevede la fissazione dell’udienza entro 90 giorni dal deposito del ricorso: art. 35, 1. n. 87/1953, nel testo emendato dall’art; 9, co. 4, 1. n. 131/2003). Ciò che finisce con l’assorbire le eventuali esigenze di cautela (cfr. sent. 427/1999); non può, peraltro, escludere una possibile insorgenza del problema: la detta disposizione legislativa ha, dunque, riconosciuto un potere sospensivo della legge impugnata, condizionato ad un’estrema accelerazione del giudizio successivo. Non penso che questa disposizione ecceda i poteri del legislatore ordinario, in relazione al “valore” dell’atto legislativo; essendo il potere cautelare un accessorio inseparabile del potere giurisdizionale, come insegna la giurisprudenza della medesima Corte, oltre che di quella comunitaria. Sulla procedura della decisione sul richiesto provvedimento cautelare. Si osserva, in particolare che l’art. 35 della legge n. 87/1953, nel testo riformulato dal co. 4, dell’art. 9, 1. n. 131/2003, prevede un potere di sospensione in ipotesi di rischio di irreparabile pregiudizio per l’interesse pubblico, per l’ordinamento della Repubblica, per i diritti dei cittadini, per ragioni tutte che sembrerebbero rientrare nella sfera “statale”; potrebbe, dunque, sembrare che questo potere altro non sia che un succedaneo del vecchio ricorso preventivo. Per evitare queste conseguenze dovrebbe intendersi in senso ampio la clausola di “interesse pubblico”, contenuta nella legge, come tale da riferirsi anche alla “necessità relativa”, intendendo il termine nel senso espositiano; di urgenza che sussiste non per sé ma come strumentazione necessariamente rapida di uno scopo in sé non urgente: da questo punto di vista, una legge dello Stato che intralciasse una programmazione economica regionale in corso, compromettendone i risultati; potrebbe essere urgentemente sospesa. Una lettura ampia dei poteri cautelari si collega anche alla loro inerenza rispetto al diritto di azione, come strumento per rendere effettiva la “ragione” (ricordo il pensiero chiovendiano). La legge prevede un esercizio “officioso” del potere di sospensione; la dinamica processuale, peraltro, sospinge verso la preminente influenza e valorizzazione delle istanze di parte”. (qui riportato quasi testualmente). V. Corso di giustizia costituzionale, cit. pp. 318 ss.

[38]V. su questi argomenti P. CARETTI, U. DE SIERVO, Istituzioni di Diritto Pubblico, cit., pp. 397 ss; R. BIN, G. PITRUZZELLA, Diritto Pubblico, cit., pp. 483 ss; S.M. CICCONETTI, Lezioni di Giustizia Costituzionale, cit., pp. 71 ss; E. MALFATTI, S. PANIZZA, R. ROMBOLI, Giustizia Costituzionale, cit., pp. 182 ss; L. MEZZETTI, Manuale Breve Diritto Costituzionale, cit., pp. 410 ss; M. DI CELSO, M. MAZZIOTTI, G.M. SALERNO, Manuale di Diritto Costituzionale, cit., pp. 519 ss; G.U. RESCIGNO, Corso di Diritto Pubblico, cit., pp. 465 ss; L. PEGORARO, A. REPOSO, A. RINELLA, R. SCARCIGLIA, M. VOLPI, Diritto Costituzionale e Pubblico, cit., pp. 457 ss; A. CELOTTO, La Corte costituzionale, cit., pp. 74 ss.

[39]Sull’argomento A. CERRI: “(…)Valgono per i giudizi principali, come è ovvio, le medesime regole (ed i medesimi problemi) già visti sull’identità del collegio che partecipa alla discussione e che decide. La decisione della Corte è resa con riguardo alla situazione normativa esistente al momento del decidere: ciò non vuol dire che la norma sopravvenuta debba esser retroattiva; ma, ove lo sia, la sua influenza. non può essere esclusa per il fatto che il giudizio sia stato già promosso. Cfr. sent. 259/1997, che accenna al problema ma poi lo evita decidendo in base a motivo assorbente; sent. 272/2005 (che rinvia a nuovo ruolo per consentire discussione normativa sopravvenuta); 388/2005, che ritiene ininfiuente abrogazione di norma interposta (per il principio di continuità) intervenuta dopo la proposizione del ricorso; sent. 387/2005, che rigetta ricorso contro legge regionale perché approvata in carenza di normativa di attuazione del suo potere estero, essendo sopravvenuta la legge n. 131/2003 che questa attuazione contiene in termini compatibili con detta legge regionale; sent. 248/2006 e 178/2007, che, invece, tengono conto di sopravvenuta dichiarazione d’incostituzionalità di norma interposta. In relazione anche al carattere “contenzioso” del giudizio si afferma un rigoroso rispetto del contraddittorio, con riguardo alla formulazione del ricorso), fino a rimettere la causa sul ruolo quando il quadro normativo rilevante venga ad esser modificato dopo l’udienza di discussione (cfr. ad es., sent. 246/1982). Da ciò, oltre che dal carattere dispositivo del giudizio, deriva un principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunziato. Vero è che non può non operare, anche in questo giudizio, un principio di cognizione d’ufficio di norme parametro di rilievo costituzionale che possano essere addotte a “giustificazione” della legge impugnata. La circostanza che le norme sulla competenza addotte a giustifìcazione già fanno parte della materia del contendere, unita ad un quadro costituzionale segnato da intersezioni e sovrapposizioni di norme sulla competenza conduce sovente (pur se non mancano prese di posizione nel senso del massimo rigore) la Corte, nei limiti del tipo di vizio di costituzionalità lamentato, ad esercitare poteri “officiosi” nella determinazione del parametro appropriato. A ciò concorrono forse, anche le ragioni che consentono “questioni alternative”. È interessante osservare che nella più recente prassi, accanto alla riunificazione di questioni analoghe (che sortisce l’effetto accennato di un’integrazione del contraddittorio), si registra sempre più frequentemente “stralcio” di questioni distinte, in guisa da consentire alla Corte di decidere con separate sentenze, ciascuna delle quali tratti una materia omogenea, anche in relazione ad un unico ricorso. Al di là delle ricadute che questa prassi può avere sull’attenzione della Corte agli elementi che precedono la stretta considerazione giuridica, ciò pone il problema di un vincolo della Corte alla decisione presa su eventuali questioni preliminari comuni alle diverse questioni congiuntamente proposte e separatamente decise; vincolo che sarebbe oltre l’efficacia del precedente ed avrebbe natura di “giudicato”, quanto meno, “formale”. Sembra, peraltro, da escludere un effetto di giudicato “sulla competenza”, oltre l’atto legislativo concretamente valutato, pur se sembra difficile eludere questa problematica con riguardo alle sentenze interpretative ed agli atti amministrativi conseguenti. Cfr. sent. 28/2003; v. anche sent. 95/2007. L’istrumentario decisionale della Corte, peraltro, si è forgiato in prevalenza in sede del giudizio incidentale ed, in qualche senso, risente dei fattori “concreti” e “casistici” che sono propri di questo; occorre, allora, aggiungere qualche cenno sul senso e sul rilievo che l’impiego dei detti strumenti riveste in un giudizio la cui natura è, come vedremo del resto tra poco, nettamente diversa. La formula dell’inammissibilità anche in questo caso è “ad ampio spettro” e copre tutte le decisioni che definiscono il giudizio, le quali non siano “di pieno merito”, e cioè non rispondano alla domanda (questione) nei termini in cui è formulata. La carenza della legittimazione regionale all’impugnazione, la carenza originaria o sopravvenuta dell’interesse ad agire, la mancata indicazione di norma parametro di livello costituzionale, la carenza di forza di legge dell’atto impugnato, la sopravvenuta decadenza del decreto legge impugnato dalla Regione, la tardività del ricorso, ecc. sono tutti motivi d’inammissibilità. Vero è che, in caso di sopravvenienze le quali rendano inutile un giudizio validamente radicato, la Corte, come anche altri giudici, impiega la formula della “cessazione della materia del contendere”. È opportuno ricordare che, in ipotesi di mancata conversione di decreto legge, la Corte talvolta aveva pronunziato nel senso, appunto, della “cessazione della materia del contendere” (cfr., ad es., sent. 130/1975; 3/1981); in seguito ha preferito la formula dell’inammissibilità (cfr. sent., 59, 144/1982, 250, 322, 491/1994, ecc.) a sottolineare la radicale retroattività degli effetti della mancata conversione (così esplicitamente, sent. 307/1983). Sul punto la giurisprudenza è ormai consolidata. La formula della irricevibilità (o simili) è riservata nel giudizio principale (come in quello incidentale) a decisioni che non definiscano il giudizio (concernenti, ad es., la tardiva costituzione di una parte, ecc.). Le decisioni interpretative di rigetto o che contengono un’interpretazione adeguatrice od anche solo correttive, in questa sede, dispiegano un effetto specifico e pregnante, essendo la Corte medesima il giudice dei conflitti di attribuzione che possono sorgere sugli atti che applicano quella legge, adottati dallo Stato o dalla Regione; si tratta, probabilmente, di un effetto solo di precedente, pur se di particolare intensità, dovendosi, per un verso, ritenere che la Corte seguirà quella certa interpretazione anche in questioni che sorgano dall’applicazione della legge statale con riguardo a Regioni diverse da quella che ha promosso il giudizio principale e non potendosi escludere, per altro verso, che la Corte acceda aduna diversa interpretazione ove il “diritto vivente” poi non si adegui a quella da lei suggerita in sede di giudizio principale (ciò massimamente se si tratta di interpretazione “correttiva”). È da osservare che, in caso di accoglimento del ricorso (pur proposto da una sola Regione e, comunque, non da tutte) contro legge statale, questa viene dichiarata in costituzionale nella sua interezza e non solo in quanto applicabile alla Regione ricor­rente. Ciò non esclude la eventualità di sentenza parziale, innanzi tutto, per ragioni analoghe a quelle per cui viene pronunziata nel giudizio incidentale. Ma, nel presente contesto, possono esistere ragioni specifiche per addivenire ad una tale pronunzia. La natura del vizio di competenza ed, anche le condizioni particolari di autonomia di alcune Regioni può condurre ad una pronunzia che censuri la legge nella sola misura in cui lede o invade le competenze protette. Può, inoltre, accadere che la “parzialità” della decisione di accoglimento derivi dall’esigenza di garantire il continuo esercizio dei diritti dei consociati, che non possono risultare frustrati dal mero giuoco delle competenze statali e regionali. Con riguardo alla condizione di Regioni ad autonomia speciale oppure ai limiti delle competenze su enti statali o regionali, cfr., ad es., 31/1983; 245/1984; 280/2004; 26, 30, 407/2005, 88/2006. Con riguardo al principio di continuità del pubblico servizio, cfr., ad es., sent. 13/3004 (e, a contrario, sent. 16/2004). Ai medesimi fini di salvaguardia del “servizio pubblico” la sent. 308/2004 contiene una decisione “additiva” e “datata”; la sent. 370/2003 contiene, sempre a questi fini, una decisione in qualche modo « “datata”. Sono possibili anche sentenze additive, pronunziate queste specialmente quando occorre integrare la normativa statale con un meccanismo che garantisca il principio di leale collabora­zione. Sono praticate anche sentenze sostitutive (sent. 245/1984: le Regioni sono “tenute” anziché “facoltizzate”, ecc.). Cfr., fra le molte, ad es., sent. 98/2000; 196/2004; 129/2006. Per decisioni “sostitutive” cfr., ad es., 222, 383/2005; 134/2006, ecc. Quando il meccanismo collaborativo resta indeterminato, l’additiva è indiscutibilmente, “di principio” (sent. 109/1993, ad es.). Anche per le sentenze “parziali”, “additive”, “sostitutive”, pronunziate nel giudizio in via principale, si presenta il problema del “seguite” che esse possono avere in un conflitto (su atto che tragga fondamento dalla norma come sopra censurata); il rilievo generale della decisione di accoglimento comporta un vincolo, che attiene comunque ad una data legge e non alla competenza in astratto, per la Corte medesima, la quale peraltro si troverà, in questo caso, a dover interpretare le sue decisioni. Il vincolo, peraltro, è correlato al quadro normativo nel quale la decisione è stata resa. Può presentare una qualche problematicità l’impiego dell’istituto dell’invalidità conseguenziale in questo contesto; ed, infatti, l’estensione della censura a norma non impugnata sembrerebbe collidere con il principio di perentorietà dei termini e fin anche reagire sull’ammissibilità della tempestiva impugna azione di successive disposizioni analoghe, sotto il profilo del difetto di interesse; vero è che le ragioni che inducono ad escludere l’acquiescenza, le quali risiedono nella inderogabilità delle competenze, inducono anche ad ammettere l’istituto in questione, altrimenti venendosi a produrre, per il combinato effetto dell’intervenuta decadenza e del difetto di interesse, una sorta di “consolidamento” di competenze abnormi, contrario allo spirito di un sistema, che vuole bensi condizionare l’azione ad un effettivo interesse ma esclude il pregiudizio definitivo di situazioni e valutazioni successive. Ciò implica che la successiva incisione in competenze già incise finisce con il riaprire limitatamente i termini per rimettere in discussione anche le precedenti lesioni; nei limiti, appunto, propri e strutturali dell’istituto dell’invalidità conseguenziale, che escludono possano essere coinvolte nella pronunzia disposizioni che presentino profili di valutazione ulteriori (ciò che sicuramente avviene, ad es., quando la normativa risulta “avvalorata” da fonte di livello superiore rispetto a quella oggetto dell’impugnativa). Si è visto che la Corte talvolta ha superato l’eccezione relativa alla preesistenza di leggi analoghe non impugnate, sottolineando i fattori di diversità (sent. 18/1956, 44/1957, 127/1987, 382/1999), mentre in un caso (sent. 8/1967) ha ritenuto l’eccezione strutturalmente debole. Occorre aggiungere che non difettano ipotesi nelle quali la Corte ha effettivamente pronunziato l’invalidità conseguenziale di disposizioni a suo tempo non impugnate (sent. 34/1961; 441/1994; 20/2000; 533/2002, che accompagna l’estensione della censura a “trasferimento” su disposizione riproduttiva; 103/2003, con riguardo a disposizione conseguenzialmente inoperante; 338/2003, con riguardo a disposizione contenuta nel medesimo testo e non, a sua volta, impugnata), mentre in un caso (sent. 991/1988) l’ha presupposta. In senso contrario v., peraltro, sent. 206/2001. Sul fenomeno collegato del “trasferimento” della questione su disposizione riproduttiva. Cfr. anche sent. 2 e 378 (all’interno del medesimo statuto), 166 (all’interno della medesima legge), 172 (con riguardo a disposizioni previgenti conformi)/2004; s. 253 (disp. stessa legge inscindibilmente connesse; e poi anche connesse perché analoghe, nella stessa legge: divieto discriminazione nei pubblici esercizi e poi anche nei servizi turistici e commerciali), s. 405 (nesso inscindibile )/2006; s. 413 (l. finanziaria: riparto somme stanziate in bilancio e destinate a contributi alla produzione: caso mai doveva impugnarsi l. sostanziale a monte del bilancio )/2004 s. 26 (inoperatività disp.ne che prevede regolamento: venuto meno interesse)/2005”. (qui riportato quasi testualmente). V. Corso di giustizia costituzionale, cit. pp. 323 ss.

[40]V. F. S. MARINI, G. GUZZETTA, Diritto Pubblico Italiano ed Europeo, cit., p. 555.

[41]V. la sentenza n. 3/1962, in www.cortecostituzionale.it.

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