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IL PARAMETRO E L’OGGETTO DEI CONFLITTI INTER ORGANICI, DAVANTI ALLA CORTE COSTITUZIONALE ITALIANA: YULHMA V. BALDERAS ORTIZ.

IL PARAMETRO E L’OGGETTO DEI CONFLITTI INTER ORGANICI, DAVANTI ALLA CORTE COSTITUZIONALE ITALIANA 

di Avv. Yulhma V. Balderas Ortiz
Dottore di ricerca in Diritto pubblico, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”

L’articolo 37[1] della Legge n. 87 del 1953 stabilisce che il parametro dei conflitti tra poteri dello Stato, è rappresentato dalle “nome costituzionali” che delimitano la relativa sfera di attribuzione.

L’inciso “norme costituzionali” è stato interpretato dalla dottrina e in alcuni casi dal giudice costituzionale, come facente riferimento alla categoria delle previsioni “materialmente costituzionali”. In base a questi assunti il parametro costituzionale non si esaurisce nelle leggi costituzionali, ma può essere integrato dalle consuetudini costituzionali[2], da prassi parlamentari, da norme comunitarie[3] e in taluni casi anche da norme di legge ordinaria, per gli istituti che richiedono un’attuazione legislativa[4]. E’ stato evidenziato comunque che nella maggior parte dei casi in cui la Corte si è pronunciata nel merito, essa ha richiamato a fondamento delle proprie decisioni parametri formalmente costituzionali[5].

Per quanto riguarda l’oggetto del conflitto così recita l’articolo 38[6] della Legge n. 87 del 1953: “la Corte risolve il conflitto sottoposto al suo esame dichiarando il potere al quale spettano le attribuzioni in contestazione e, ove sia stato emanato un atto viziato da incompetenza lo annulla”. L’elemento fondamentale è quindi una dichiarazione sulla spettanza del potere, mentre la presenza di un atto invasivo è solo eventuale. Il giudizio, dunque, non ha carattere necessariamente impugnatorio[7].

Alla base del conflitto, vi può essere qualsiasi atto o comportamento anche di natura omissiva. Dunque sono ammissibili sia i conflitti determinati da atti invasivi della sfera di competenza di un altro potere, sia quelli determinati dall’esercizio o dal mancato esercizio di determinate competenze, che arrecano un impedimento o un pregiudizio all’esercizio di competenze spettanti ad un altro organo. Nel primo caso vi sarà un organo che chiede l’intervento della Corte, affinché essa riconosca che l’adozione di quell’atto rientra nell’ambito delle proprie attribuzioni, nel secondo caso vi sarà un organo che si rivolgerà alla Corte, affinché essa dichiari incostituzionale il comportamento impugnato, determinando così il corretto esercizio delle competenze altrui, al fine di poter esercitare le proprie attribuzioni.

Occorre tuttavia, in ogni caso che sia minacciata o lesa un’attribuzione. Sono inammissibili cioè quei conflitti, in cui manchi un interesse giuridicamente rilevante del ricorrente, alla risoluzione della controversia. La sussistenza dell’interesse ad agire, è infatti, condizione “necessaria” e sufficiente a conferire al conflitto gli indispensabili caratteri della concretezza e dell’attualità non potendo la Corte essere adita a scopo meramente consultivo, per pronunciarsi cioè, su astratte ipotesi”[8]. Pertanto vengono dichiarati inammissibili i conflitti meramente ipotetici o virtuali, vale a dire quei conflitti in cui non siano sorte in concreto, contestazioni relative alla delimitazione di attribuzioni garantite in Costituzione[9].

Per quanto concerne gli atti sindacabili da parte della Corte, in sede di conflitto tra i poteri dello Stato, a lungo si è discusso sulla possibilità per il giudice costituzionale di annullare un atto legislativo. Nella sua prima pronuncia in materia, ovvero nella sentenza n. 406 del 1989, la Corte affermò che “in linea di principio, il conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato non può ritenersi dato contro una legge o un atto equiparato”, adducendo tre motivi fondamentali. In primo luogo, la “ragionevole esigenza di bilanciare la relativa latitudine della cerchia degli organi abilitati a sollevare conflitto fra poteri (non necessariamente organi costituzionali), con una più rigorosa delimitazione dell’ambito oggettivo del conflitto stesso”. In secondo luogo, la Corte ha ritenuto che “la sperimentabilità del conflitto contro gli atti suindicati finirebbe con il costituire un elemento di rottura del nostro sistema costituzionale, sistema che, per quanto riguarda la legge (e gli atti equiparati), è incentrato sul sindacato incidentale”, aggiungendo anche su quest’ultimo punto che, la scelta che sta alla base di tale strutturazione “si correla all’idea rimasta portante nel nostro sistema costituzionale, della preminenza della legge e degli atti equiparati”. Infine, le difficoltà di applicare alla legge la previsione dell’articolo 38[10] della Legge n. 87 del 1953, poiché la legge mal sopporterebbe di essere espunta dall’ordinamento giuridico, attraverso una sentenza di annullamento invece che da una sentenza che ne dichiari l’illegittimità costituzionale.

Questo indirizzo della Corte è stato modificato in seguito, in occasione di un conflitto di attribuzione sollevato dal comitato promotore di alcuni referendum abrogativi nei confronti del Governo: il comitato aveva impugnato un decreto legge che disciplinava le tribune elettorali televisive, proprio con lo scopo di assicurare pienezza di tutela ai propri politici in campagna elettorale[11]. Successivamente la Consulta ha esteso il conflitto tra poteri a tutti gli atti legislativi, configurando il conflitto avente ad oggetto atti legislativi, come un rimedio sussidiario e suppletivo rispetto alle questioni in via incidentale. In base a tale orientamento per la Corte, dunque, non è rilevante la natura degli atti, ma piuttosto la concreta praticabilità della via alternativa e preferenziale, dell’impugnativa incidentale nel corso del giudizio[12].

Il conflitto dà luogo a un giudizio di parti, cioè un giudizio che si instaura, e si mantiene fino a decisone, per esclusiva iniziativa di parte. Esso dunque si estingue per effetto della rinuncia al ricorso, da parte del ricorrente accettata dal resistente.

Inoltre il conflitto ha per oggetto una controversia sulla competenza, in cui si può contestare: 1) la titolarità di una competenza che ciascun organo o soggetto rivendica come propria (c.d. vindicatio potestatis); 2) l’illegittimo esercizio di una competenza da parte di un organo o di un soggetto, cui deriva la menomazione della sfera di attribuzione di altro organo o soggetto (cattivo uso del potere). Il giudice costituzionale nel risolvere il conflitto stabilirà nel primo caso a chi spetta la titolarità della competenza controversa, nella seconda ipotesi come deve essere esercitata la competenza in contestazione.

NOTE: 

[1]V. M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., p. 40.

[2]Come nel caso affrontato dalla sentenza 7/96, c.d. caso Mancuso, dal nome del Ministro colpito da mozione di sfiducia individuale: un atto non disciplinato espressamente dalla Costituzione ma secondo il giudice costituzionale desumibile dalle “pieghe” della forma di governo italiana, così come arricchita da norme consuetudinarie e parlamentari.

[3]V. la sentenza n. 399/1987.

[4]Cfr. A. cerri, Corso di giustizia costituzionale, cit., p. 375.

[5]Cfr. E. Malfatti, S. Panizza, R. Romboli, Giustizia costituzionale, cit., p. 1994, che osserva al riguardo che la Corte non poteva fare altrimenti “poiché ammettere l’assenza di questi ultimi l’avrebbe portata progressivamente ad autodelegittimarsi, venendo meno quel pilastro che la pone in posizione di “arbitro”rispetto ai soggetti nei confronti dei quali è chiamata a giudicare”.

[6]V. M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., pp. 40 ss.

[7]Cfr. G. Guzzetta, F. S. Marini, Diritto pubblico italiano ed europeo, cit., p. 560; cfr. A. cerri, Corso di giustizia costituzionale, cit., p. 411.

[8]V. le sentenze nn. 164/1963; 420/1995, 389/1996, 265/1997, 49/1998.

[9]V. le sentenze nn. 171/1971, 71/1973, 299/1974, 84/1978.

[10]V. M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., pp. 40 ss.

[11]V. la sentenza n. 161/1995.

[12]V. le sentenze nn. 161/1995, 457/1999 e 284/2005; le ordinanze nn. 73/1997 e 211/2000. Per una serie di osservazioni critiche sull’ammissibilità del conflitto avente come oggetto un atto legislativo, cfr. E. Malfatti, Il conflitto di attribuzione, in Aggiornamenti in tema di processo costituzionale(2002-2004), cit. pag.316ss; Id., Il conflitto di attribuzione, in Aggiornamenti in tema di processo costituzionale(2005-2007), cit., p. 351.

 

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