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LE SENTENZE MANIPOLATIVE, DAVANTI ALLA CORTE COSTITUZIONALE ITALIANA: YULHMA V. BALDERAS ORTIZ.

LE SENTENZE MANIPOLATIVEDAVANTI ALLA CORTE COSTITUZIONALE ITALIANA

di Avv. Yulhma V. Balderas Ortiz
Dottore di ricerca in Diritto pubblico, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”

Secondo un orientamento prevalente all’interno delle sentenze di accoglimento, figurano le sentenze manipolative. Tali decisioni si differenziano  tanto da quelle meramente interpretative, quanto da quelle di mero accoglimento. Rispetto alle prime, infatti, esse producono effetti anche sulla disposizione oltre che sulla norma e, rispetto alle seconde, non caducano per intero la disposizione, ma sottraggono (accoglimento parziale), aggiungono (additive) o sostituiscono (sostitutive), qualche parte della stessa[1]. L’effetto manipolativo dunque è da riferirsi al fatto che queste decisioni danno vita a vere e proprie innovazioni nel sistema delle fonti: il giudice costituzionale non si limita a eliminare la disposizione legislativa sottoposta al suo sindacato, ma la trasforma, la adegua, la integra[2].

Tali sentenze hanno suscitato forti critiche da parte della dottrina e, soprattutto hanno causato problemi sia nei rapporti tra Corte e Magistratura in ordine all’interpretazione della legge, sia nei rapporti tra Corte e Parlamento, in quanto la Corte è parsa porsi come supplente del Parlamento[3].

Tra le sentenze manipolative vanno ricordate le sentenze di accoglimento parziale, con le quali la Corte accoglie la questione dichiarando illegittima una parte di disposizione o uno dei possibili significati deducibili da essa[4]. Nella prima ipotesi, il giudice costituzionale riduce il testo di una disposizione limitatamente a determinate parole o commi di un articolo: viene così manipolato il testo di legge.

Nella seconda ipotesi, invece, poiché la disposizione è suscettibile di più interpretazioni e se ne possono dedurre più norme, il giudice costituzionale dichiara illegittima solo una di queste norme: il testo viene ridotto nel numero delle interpretazioni possibili, e la manipolazione agisce quindi sulle norme desumibili dal testo, eliminando una norma specifica[5].

Le sentenze additive, invece sono quelle decisioni che dichiarano illegittima una disposizione nella parte in cui non prevede una data norma, la cui esistenza è necessaria per rispettare la Costituzione, e che dunque viene aggiunta al testo dalla Consulta. Si pensi all’articolo 304 bis c.p.p. nella parte in cui in materia di interrogatorio dell’imputato, non prevedeva l’assistenza dell’imputato, e che con la sentenza 190/1970 la Corte ha dichiarato incostituzionale. In realtà tale norma non esisteva in questi termini nell’articolo 304 bis, ma si poteva solo dedurre in via indiretta dai principi contenuti in Costituzione[6].

La dottrina, inoltre, a seconda del contenuto della disposizione introdotta, distingue tra additive di principio, di garanzia e di prestazione e di procedura[7].

Le prime sono caratterizzate dal fatto che introducono dei principi espressi, o “di seconda generazione”, vale a dire quei principi i quali necessitano per poter produrre effetti, di uno sviluppo e di integrazione da parte di altre norme[8]. In tali pronunce il principio che viene così immesso è immediatamente efficace erga omnes, ed i suoi effetti, in genere, si rivolgono sia al legislatore sia ai giudici che dovranno desumere da esso le regole applicabili al caso concreto.

Le additive di garanzia si distinguono da quelle di prestazione, invece per il tipo di posizione giuridica soggettiva che il giudice costituzionale con tali decisioni introduce o estende. Nelle additive di garanzia, viene in rilievo in genere un diritto soggettivo di libertà, invece in quelle di prestazione, di solito i diritti c.d. sociali.

Ed ancora le additive di prestazioni, intervengono quando la decisione della Corte  introduce all’interno di un procedimento l’adozione di un atto giuridico.  Questo  caso, ad esempio, si verifica nell’ambito del giudizio di costituzionalità in via diretta, quando la Corte prevede un’intesa, per rendere la disciplina conforme al principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni[9].

Nelle sentenze sostitutive il giudice costituzionale cambia la disposizione sostituendone, appunto, una parte. La Corte in questi casi, interviene su due fronti: da un lato elimina il frammento della disposizione che rende la norma contraria alla Costituzione, dall’altro, introduce una parte della disposizione necessaria per rendere la norma conforme al dettato costituzionale. Nel dispositivo, quindi, si dichiara l’illegittimità costituzionale di una legge “nella parte in cui prevede x anziché y”. Per esempio con la sentenza n. 311/1996 è stata dichiarata incostituzionale la norma sui requisiti di accesso alla professione di guardia giurata, poiché essa richiedeva che l’aspirante dovesse essere una persona con una condotta morale “ottima” invece che “buona”. Ed ancora la Corte ha annullato con la sentenza n. 15/1969, una disposizione che attribuiva al guardasigilli l’autorizzazione ministeriale a procedere per i reati contro la Corte stessa, sostituendola con la propria autorizzazione.

NOTE:

[1]Ibidem.

[2]Cfr. A. Barbera, C. Fusaro, Corso di diritto pubblico, cit., p. 390.

[3] Cfr. P. Caretti, U. De siervo, Istituzioni di diritto pubblico, cit., p. 404ss; S.M. Cicconetti, Lezioni di giustizia costituzionale, cit., 2006, p. 82. Al riguardo osserva quest’ultimo: ”Non a caso si è molto discusso altresì, della possibilità di classificare le sentenze manipolative tra le fonti del diritto, anche se la dottrina dominante tende ad escludere questa possibilità che sarebbe foriera di equivoci ed incertezze”.

[4] Cfr. A. Barbera, C. Fusaro, Corso di diritto pubblico, cit., p. 392.

[5] Cfr. la sentenza n. 436 del 1999.

[6] Cfr. P. Barile, E. Cheli, S. Grassi, Istituzioni di diritto pubblico, cit., p. 225.

[7] Cfr. F. S. MARINI, G. GUZZETTA, Diritto Pubblico Italiano ed Europeo, cit., p. 530.

[8]V. la sentenza.n. 497 del 1988.

[9]V. le sentenze nn. 303 del 2003 e 343 del 2005.

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